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Dazi, Donald contro la Cina. “Ha violato gli accordi”. E potrebbe sentirsi con Xi


Dazi, Donald contro la Cina. "Ha violato gli accordi". E potrebbe sentirsi con Xi

Nel giorno in cui le borse di tutto il mondo vivono la fibrillazione provocata dalle incertezze sui dazi, il presidente statunitense Donald Trump non sembra arrendersi alla sentenza della Corte per il commercio internazionale, che li ha bloccati, e che il tycoon definisce «politica» e «orribile». «Senza dazi commerciali l’America sarebbe stata in pericolo», dice nel corso della conferenza stampa alla Casa Bianca con Elon Musk. Al di là degli slogan, l’inquilino della Casa Bianca sta pensando a blindare i balzelli, a cui non sembra minimamente intenzionato a rinunciare, ricorrendo ad altre leggi rispetto all’International Emergency Economic Powers Act del 1977 che la corte ha ritenuto inappropriato. Certo, la Corte d’appello ha a sua volta sospeso lo sbianchettamento dei dazi, ma si tratta di un freno provvisorio. Urgono altre misure. Spulciando spulciando gli esperti al servizio di Trump hanno scovato, secondo le ricostruzione del Wall Street Journal, una disposizione mai utilizzata prima del Trade Act del 1974, che include una clausola che consente dazi fino al 15 per cento per 150 giorni per affrontare gli squilibri globali. Un modo per prender tempo e trovare soluzioni ad hoc per ciascun partner commerciale.

Il nemico numero uno per Trump resta sempre la Cina. Ieri il presidente americano ha accusato Pechino si aver «violato il suo accordo con gli Stati Uniti» sui dazi. «Due settimane fa – la ricostruzione a dir poco spericolata di The Donald – la Cina era in un grave pericolo economico. Ho visto quello che stava accadendo e non mi è piaciuto: ho fatto un rapido accordo con la Cina per salvarla da quella che pensavo fosse una cattiva situazione». Non è un caso che questa sparata sia avvenuta nel giorno in cui il segretario al Tesoro degli States, Scott Bessent, ha parlato di un stallo dei negoziati commerciali tra Stati Uniti e Cina, che «potrebbero aver bisogno di essere rilanciati con una telefonata tra Donald Trump e il presidente cinese Xi Jinping».

E poi c’è il fronte europeo. Il commissario europeo per il Commercio e la sicurezza europea, Maros Sefcovic, ha ieri sentito ancora una volta il segretario Usa Howard Lutnick. «Il nostro tempo e le nostre energie sono pienamente concentrate, poiché fornire soluzioni lungimiranti rimane una priorità assoluta dell’Ue. Restiamo in contatto costante», ha scritto sui social un Sefcovic comprensibilmente preoccupato. Sempre ieri il commissario Ue per l’Economia, Valdis Dombrovskis, da Dubrovnik, in Croazia, ha detto che per il nostro continente di fronte alla minaccia di balzelli commerciali insostenibili con gli Stati Uniti «è importante usare l’ampio potenziale del mercato unico, ma anche rimanere aperti al mondo, sviluppare partnership, rafforzare quelle esistenti e trovare nuovi partner»», invitando a fare dell’Europa «un porto sicuro in un mondo turbolento». Anche la direttrice del Fondo Monetario internazionale, Kristalina Georgieva, ha tratteggiato un quadro preoccupante nel caso Trump non si fermasse: «I dazi possono creare uno shock dell’offerta nei Paesi che li impongono, come gli Usa, con l’offerta di beni che si riduce ed esercita una pressione sui prezzi al rialzo. Oppure può esserci uno shock della domanda: questa è la situazione per l’Ue» dove «i Paesi si trovano in una posizione più difficile».

Mentre la politica si interroga, c’è anche chi si muove in autonomia.

Come il gruppo tedesco Volkswagen, che recapita un ramoscello di ulivo a Washington: «Vogliamo continuare a investire in modo massiccio negli Stati Uniti. Questo dovrebbe avere un ruolo nelle decisioni dell’amministrazione Usa», ha detto Oliver Blume, ad di VW e Porsche, ricordando che l’azienda impiega più di 20mila persone negli Usa, oltre 55mila nell’indotto.


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