Daria Bignardi e il libro della figlia di Gisèle Pelicot: «Quando il male è tuo padre»
Questo articolo sul libro di Caroline Darian, figlia di Gisèle Pelicot, è pubblicato sul numero 9 di Vanity Fair in edicola fino al 25 febbraio 2025.
Che cosa fareste se scopriste che vostro padre è un demonio, oltre a cercare di non impazzire?
Per Caroline, la figlia quarantenne di Gisèle e Dominique Pelicot, il punto di non ritorno in cui la sua vita – che ruotava intorno a marito, figlio, fratelli, genitori, amici e lavoro – si disintegra, sono le 20.25 del 2 novembre 2020. Il momento in cui sua madre le dice al telefono che il padre da quella mattina è in stato di custodia cautelare: «Invitava degli uomini a casa nostra… Ho visto diverse foto mie. Addormentata, a pancia in giù e sul letto. Ogni volta con uomini diversi, tutti sconosciuti». Quello che fa Caroline, scaraventata dentro a un incubo, oltre a perdere la testa, gridare, insultare suo padre, è cominciare a tenere un diario: «Scoprirò in seguito che le persone colpite da uno shock traumatico spesso ricordano solo un dettaglio… Per me è l’orologio del forno».
Da quel momento il ricordo del padre che al volante dell’auto carica di valigie faceva battute e canticchiava Barry White entusiasta di partire per le vacanze coi suoi tre bambini seduti sul sedile posteriore non esiste più. «Adesso sarai per sempre quello che organizza le orge e che vive
una vita di atroci bugie». Il diario di Caroline si conclude tre anni prima del processo che lo condannerà a vent’anni. E ho smesso di chiamarti papà mi ha colpito per la sua asciuttezza. È difficile raccontare il male ma Caroline Darian, che ha scelto di firmarsi con uno pseudonimo che racchiude i nomi dei suoi fratelli, e che dal 2022 è impegnata in un’efficace campagna contro la sottomissione chimica, c’è riuscita in pieno. Si erge su questa storia sconvolgente la figura fiera di sua madre Gisèle: «Siamo molto diverse. Io sono un libro aperto, fatico a nascondere le mie emozioni. Lei invece somiglia a una regina medioevale: schiena dritta, mento in su, e non un lamento. La vedo che si staglia silenziosa tra le rovine: è lei l’unica eroina di questa storia».
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