Società

Dargen D’Amico: «La mia vita personale conta solo nel momento in cui diventa collettività, più vado avanti e più credo che le grandi cose siano fatte dall’unione delle piccole»

C’è il deputy General Manager di Cesvi Roberto Vignola, la responsabile dell’Unità di Emergenza Lav Beatrice Rezzaghi o anche l’atleta Najla Aqdeir. Come ha scelto quali storie raccontare?
«Conoscevo già alcune storie, altre invece avevo interesse di scoprirle quindi questo mi sembrava l’occasione adatta. Però, volevo qualcuno che mi permettesse di arrivare subito al nocciolo del problema, con cui entrare subito in sintonia per spiegare chiaramente ciò che stavamo affrontando».

È un podcast che affronta temi sociali, dall’immigrazione alla disabilità. Cosa vorrebbe che il pubblico pensi o capisca dopo averlo ascoltato?
«Sono un ottimista sognatore, ma pretendere che, nel 2025, il pubblico pensi è fin troppo anche per me. Non mi sono dato questo obiettivo, voglio semplicemente mettere dei punti fermi semplici, soprattutto in un periodo come questo in cui viene sempre detto tutto e il suo contrario. È anche un invito ai miei fratelli, sorelle e ai miei simili in generale a fare delle cose anche piccole, ma agendo nel contesto nel quale viviamo».

Lei ha fatto lo stesso?
«Sì, ci provo e, a volte, ci riesco. La mia vita personale conta solo nel momento in cui diventa collettività e, per questo, sono certo che la piccola cosa che noi facciamo possa trasformarsi in qualcosa di grande per chi ci sta intorno. Non so se l’età mi fa protendere verso questo, ma più vado avanti e più credo che le grandi cose siano fatte dall’unione delle piccole».

Le impronte che lasciamo è il sottotitolo di Tolomeo. Lei pensa di averne lasciate come artista?
«Credo e spero di averlo fatto solo nella mia dimensione privata, con le persone a cui voglio bene. In quella pubblica, non penso di averlo fatto e penso che vada bene così: evidentemente non andavano lasciate».

Penso che lo abbia fatto a Sanremo e nei testi di questo ultimo capitolo della sua carriera che hanno una maggiore dimensione di denuncia, di racconto del reale.
«I miei testi sono sempre stati molto influenzati da ciò che mi accadeva nel presente, in quello che percepisco come a me vicino. Credo che tutto stia nel fatto che quando inserisci una canzone in un contesto più ampio, può apparire come una dichiarazione forte».

Nel passato, chi descriveva, stigmatizzava e invitava a riflettere sul presente erano i cantautori. Si riconosce in questa definizione?
«Non riesco a risponderle perché non ho un’immagine univoca di come dovrebbe essere un cantautore, né se io ho il materiale adatto per rientrare in questa categoria. Ho fatto tante cose perché rappresentavano me in un determinato momento e non perché fossero rappresentative della società in cui venivano immesse. Io sono più intimo, sono uno che canta ninnananne».

Però, sono sue canzoni come Onda Alta.
«Credo che alcune canzoni siano nate come mia reazione allergica al silenzio».

Dargen D'Amico «La mia vita personale conta solo nel momento in cui diventa collettività più vado avanti e più credo che...

Sara Sabatino


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