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Dall’Ucraina fino a Gaza. Ha denunciato per primo la guerra mondiale a pezzi


Dall'Ucraina fino a Gaza. Ha denunciato per primo la guerra mondiale a pezzi

La profezia di Francesco sulla «terza guerra mondiale a pezzi» denunciata al mondo 100 anni dopo il primo conflitto mondiale è sempre più reale. Il Papa ha raggiunto «la casa del Padre» senza essere riuscito a sfatarla fermando i conflitti che ci assediano dal cuore dell’Europa al vicino Oriente.

Nonostante ci avesse provato con tutte le sue forze e il carisma dell’erede di Pietro. Le sue ultime parole, per la benedizione Urbi et Orbi, il giorno di Pasqua, che non ha avuto la forza fisica di pronunciare, sono state ancora più forti e rivolte sempre a dire no alla guerra senza se e senza ma. «Vorrei che tornassimo a sperare che la pace è possibile!» è il suo messaggio poche ore prima della morte. Preoccupato dai rigurgiti dell’antisemitismo, soprattutto in Europa, è tornato a puntare il dito contro la guerra senza limiti a Gaza «dove il terribile conflitto continua a generare morte e distruzione e a provocare una drammatica e ignobile situazione umanitaria». L’appello è sempre lo stesso: cessate il fuoco e rilascio degli ostaggi israeliani.

Il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, ha spiegato che «Papa Francesco si sincerava personalmente delle condizioni a Gaza. Era diventato un po’ il suo cruccio». Il vescovo di Roma telefonava quasi ogni giorno a padre Gabriele Romanelli, il sacerdote della Striscia, che dal 7 ottobre resiste nella parrocchia della Sacra Famiglia. Francesco lo aveva chiamato anche dall’ospedale Gemelli durante il suo recente ricovero. Un’altra spina nel cuore del Papa è stata la guerra che considerava fratricida, fra ucraini e russi, nel cuore dell’Europa. Francesco parlò, non a caso, «di terza guerra mondiale a pezzi» nel 2014, l’anno dell’annessione della Crimea e dell’inizio del conflitto nel Donbass dimenticato fino all’invasione di Putin. Nel disperato tentativo di trovare una via d’uscita negoziale il Papa ha affidato la missione «impossibile» al cardinale Matteo Zuppi. Negli anni novanta, con la Comunità di San’Egidio, aveva mediato la difficile pace in Mozambico, dopo una lunga e sanguinosa guerra civile.

Nonostante la forza spirituale del Vaticano non è riuscito nell’impresa, ma ha ottenuto un successo umanitario, lo scambio di centinaia di prigionieri e soprattutto il rientro in patria di tanti bambini ucraini portati in Russia. Papa Francesco ha sempre condannato l’aggressione armata, ma senza mai intrupparsi nella propaganda. Il suo coraggio, senza peli sulla lingua, ha creato tempeste diplomatiche come per la frase pronunciata con il Corriere della sera sull’«abbaiare della Nato alla porta della Russia», che avrebbe in parte provocato la zampata dell’orso di Mosca. Adesso che ha lasciato il mondo terreno gli acerrimi nemici, Zelensky e Putin, gli tributano con uguale forza l’omaggio che merita un Papa criticato, ma sempre paladino della pace. Il tributo più grande sarebbe firmare una tregua duratura.

Altri nemici giurati, iraniani e israeliani, hanno fatto lo stesso nelle ultime ore. Anche per Gaza non è impossibile che le armi tacciano per fare tornare a casa gli ostaggi.

Lo scorso anno Papa Francesco, nel discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, aveva messo in guardia: La «terza guerra mondiale a pezzi» si sta trasformando in un «vero e proprio conflitto globale». Se ne va un grande pacificatore, che tutti rispettavano, ma nessuno ascoltava sul campo di battaglia.

Se i contendenti volessero potrebbero onorarlo veramente almeno accogliendo il suo ultimo appello: «La Pasqua sia anche l’occasione propizia per liberare i prigionieri di guerra e quelli politici!». Un piccolo segno di rispetto che aiuterebbe a spezzare il ciclo funesto della «terza guerra mondiale», prima che si aggiungano altri pezzi.


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