Dalle turbine al chianti, i dazi di Trump fanno tremare 65 miliardi di export italiano
Gli Stati Uniti sono il secondo mercato di sbocco del made in Italy, e quello che è cresciuto di più rispetto al pre pandemia. Le nostre esportazioni sono aumentate da 40 miliardi di euro nel 2017 ai 65 miliardi del 2024, con un surplus di quasi 39 miliardi, secondo in Europa solo a quello della Germania. E’ su questo flusso di 4 mila prodotti che incombe la minaccia, ancora indefinita, dei dazi di Trump. Tariffe orizzontali al 25% costerebbero alla dogana oltre 18 miliardi di tassi extra ai produttori italiani, rendendo tutti i loro prodotti più costosi e meno competitivi, e spingendone una parte fuori mercato. Ma oltre all’impatto diretto c’è anche quello indiretto, sulle aziende che forniscono semilavorati ad altre imprese, italiane o straniere, che poi vendono negli Usa. Tutto considerato, stima Confindustria, gli Stati Uniti “valgono” il 7% delle vendite totali della manifattura italiana, una quota impossibile da sostituire, motivo per cui gli imprenditori italiani chiedono di negoziare ed evitare ritorsioni. In caso di escalation l’impatto per l’Italia sarebbe notevole, fino a un punto di Pil secondo alcune stime. Farmaceutica, meccanica, auto e alimentare sarebbero i settori più a rischio, ma i prodotti più avanzati e difficili da sostituire avrebbero più possibilità di essere risparmiati, o almeno di assorbire il colpo.


Meccanica, le piccole aziende più vulnerabili
Non catturano l’immaginario come vini o auto. Ma anche negli Stati Uniti, come in tutto il mondo, la punta di diamante dell’export italiano sono macchinari e apparati industriali. Nel 2024 le vendite oltre Atlantico hanno avvicinato i 13 miliardi di euro su 65 di export totale (20%), con un gigantesco surplus. Quello dei macchinari è anche uno dei settori in cui, secondo Istat, si concentra buona parte delle 3.300 aziende italiane più “vulnerabili” alla domanda americana, come quelle che producono turboreattori e propulsori. Il flusso è composto in buona parte da beni a media tecnologia necessari alle industrie Usa, quindi oggi esenti da tariffe. Arriveranno? Un dazio generalizzato al 25% sarebbe un colpo duro, ma anche un autogol per la manifattura Usa. Quanto duro? I produttori più avanzati e meno sostituibili reggerebbero, potendo scaricare il costo extra sui clienti, quelli meno specializzati o più piccoli rischiano di finire fuori mercato.
Mezzi di trasporto, auto e moto a rischio
Anche se si evitasse una guerra commerciale totale, le auto sono serie candidate a essere colpite da Trump, visto che oggi i dazi europei sulle quattro ruote (10%) sono superiori a quelli Usa (2,5%), e che per i consumatori americani esistono alternative nazionali (almeno per i modelli base, meno per supercar come Ferrari o Lamborghini). Se poi Bruxelles rispondesse tassando le Harley-Davidson, non è escluso che pure le due ruote europee e italiane, dalle Ducati alla Vespa, finiscano nel mirino. I mezzi di trasporto sono la terza voce di export italiano verso gli Usa, a quota 7,9 miliardi nel 2024. Ma sono anche il classico esempio di come all’effetto diretto dei dazi si debba aggiungere quello indiretto: tante nostre aziende infatti producono componenti che finiscono in prodotti, italiani o magari tedeschi, che poi vengono venduti negli Stati Uniti. Considerando anche queste connessioni, stima Confindustria, il mercato americano pesa il 7% delle vendite complessive di tutta la manifattura tricolore.
Alimentare, un muro per Chianti e Prosecco
Trema anche l’agroalimentare, con i suoi 7,7 miliardi di euro di vendite negli Stati Uniti (quarto settore del nostro export). I vini sono già finiti nel mirino di Trump, che dopo il progetto europeo di ritorsione sul whisky ha minacciato addirittura dazi al 200%, un muro invalicabile. Per gli alcolici italiani, dal Chianti al Prosecco, significherebbe perdere il primo mercato al mondo, che vale 2 miliardi di euro di fatturato. Le bollicine tricolori importate negli Stati Uniti superano addirittura in quantità quelle francesi (anche se non in valore). Da lì si passerebbe agli alimentari? Il presidente Usa finora non ne ha parlato, ma tutto sommato avrebbe poco da perdere, visto che di cibo americano in Europa ne arriva molto poco. Olio, pasta e formaggi sarebbero le filiere più colpite, dice Coldiretti. Nonché ancora più esposte alla concorrenza poco leale dell’italian sounding, cibo prodotto all’estero che imita nel nome quello italiano.


Farmaceutica, l’America rivuole le fabbriche
Un caso particolare sono i farmaci, il cui export verso gli Stati Uniti, primo mercato sanitario al mondo, negli ultimi anni è decollato oltre i 10 miliardi. Sono medicinali da banco o da ricetta, antibiotici o rimedi per malattie croniche, prodotti in Italia da aziende tricolori o americane (spesso per ragioni fiscali). La loro importanza per i consumatori americani, le loro tasche o la loro vita, li ha finora esentati da dazi, nonostante se ne sia già parlato in passato. Trump però è tornato a citarli, con l’idea di riportare indietro la produzione scappata dagli Stati Uniti. Ci proverà davvero? Proprio come nella meccanica, nel farmaceutico lavora un’altra fetta di aziende “dipendenti” dal mercato americano. E come nell’auto anche qui vale l’effetto domino, visto che tante vendono semilavorati ad altre imprese che poi vendono negli Usa. Si confida nei legami “globali” dell’industria: le aziende Ue sono grandi investitori negli Stati Uniti.
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