Economia

Dalla salute al settore finanziario, ignorate le esigenze delle donne


Alcuni la chiamano ancora “la casalinga di Voghera”, altri la “responsabile acquisti”, la donna rimane centrale nel mondo degli acquisti ma soffre degli ancora troppi stereotipi che la disegnano in maniera arcaica e stereotipata e così, in questo vasto e variegato mondo dei consumi, emerge una realtà sorprendente: molti prodotti e servizi continuano a ignorare le esigenze delle donne. Potremmo definirlo un clamoroso autogol per le aziende, considerando che le donne gestiscono oltre 32 trilioni di dollari di spesa globale e si prevede controlleranno il 75% della spesa discrezionale entro pochi anni.

Una recente indagine condotta da Bcg ha interrogato circa 15.000 persone in 12 paesi, di cui tre quarti donne. I risultati rivelano un panorama critico nei settori della salute, dei servizi finanziari e dei beni di consumo, dove le aspettative delle consumatrici risultano ampiamente disattese: infatti, malgrado la loro importanza strategica, le donne percepiscono i prodotti e i servizi disponibili come inadeguati a rispondere ai loro bisogni reali.

Partiamo dal settore sanitario, comparto in cui le donne rappresentano la spina dorsale delle decisioni familiari, gestendo dal 66% all’83% delle scelte legate alla salute domestica a seconda dei paesi. Eppure, meno della metà delle intervistate ritiene che i servizi disponibili siano sufficienti per affrontare le loro specifiche preoccupazioni. Questo è particolarmente evidente nei trattamenti medici e nei rapporti con le assicurazioni sanitarie, dove la soddisfazione scende al 44% e al 37%. Le lacune non sono solo percezioni. Negli Stati Uniti, solo il 4% della spesa per la ricerca medica è destinata alla salute femminile. Inoltre, le donne sperimentano tassi di reazioni avverse ai farmaci approvati il doppio rispetto agli uomini e, in pronto soccorso, attendono il 33% di tempo in più per ricevere cure per gli stessi sintomi.

Non se la passano meglio con il settore finanziario, che si scontra, invece di incontrarsi, con la crescente influenza economica femminile: le donne aggiungono 5 trilioni di dollari al patrimonio globale ogni anno, eppure si sentono ancora escluse dai servizi. Le loro preoccupazioni – dalla gestione del debito alla pianificazione della pensione – non sono affrontate adeguatamente, mentre persistono disparità salariali e una bassa fiducia nelle proprie competenze finanziarie.

Quindi che fare per colmare queste lacune? Secondo Bcg, le aziende devono spingersi oltre il semplice adattamento di prodotti già esistenti: serve un approccio strutturale che parta dall’ascolto e dall’analisi qualitativa e quantitativa dei bisogni femminili. Non si tratta solo di progettare prodotti migliori, ma di trasformare l’intero modello di business, dalla comunicazione alla distribuzione.

Alcuni esempi virtuosi dimostrano che innovare in chiave inclusiva è possibile. Hertility, una startup britannica, offre servizi personalizzati di salute riproduttiva che affrontano le lacune del sistema sanitario tradizionale. Ellevest, negli Stati Uniti, si concentra su pianificazione finanziaria e gestione patrimoniale per donne, integrando nei modelli anche le specificità legate al divario salariale e alla maggiore aspettativa di vita femminile.

Nel settore retail, la situazione è meno drammatica, ma lontana dalla perfezione: il 66% delle donne intervistate si dichiara soddisfatto dei prodotti e dei servizi a disposizione. Un dato che, pur essendo il più alto tra i settori analizzati, lascia ancora spazio a una riflessione: un terzo delle consumatrici sente che le proprie esigenze non vengono pienamente comprese. Le donne sono alla ricerca di un’esperienza di acquisto più personalizzata e inclusiva, in grado di andare oltre il semplice prodotto.

La sfida oggi è saper offrire soluzioni che rispettino lo stile di vita dei propri clienti, dai formati di negozio più accessibili a una comunicazione meno stereotipata; in questo contesto, le donne giocano un ruolo determinante, non solo come consumatrici, ma anche come influenzatrici delle scelte familiari. Nel grocery, ad esempio, dove il ruolo decisionale femminile è predominante, le consumatrici apprezzano brand che sposano valori etici, dalla sostenibilità alla trasparenza.

Tuttavia, spesso le strategie di prodotto e comunicazione non riescono a connettersi in modo autentico; molti marchi insistono su un approccio “gender neutral”, pensando che sia sufficiente per attrarre il pubblico femminile. Ma la neutralità non è sinonimo di inclusività: le donne cercano esperienze che siano in sincrono con la loro vita quotidiana, che risolvano problemi concreti e che mostrino una comprensione profonda delle loro priorità. I brand che riescono a interpretare questi bisogni non solo vendono di più, ma costruiscono relazioni di lunga durata.

Il settore del largo consumo offre una fotografia altrettanto interessante. Dai beni di bellezza ai prodotti per la casa, le donne rappresentano la fetta più ampia della domanda, ma spesso non si sentono rappresentate dai brand che acquistano. Questo emerge chiaramente nei dati: sebbene il 64% delle consumatrici si dica soddisfatto dei prodotti beauty, molte indicano la necessità di soluzioni più mirate e inclusive, specialmente quando si tratta di prodotti per la cura della persona.

Un altro esempio emblematico è il mercato dell’abbigliamento, dove le donne americane intervistate hanno dichiarato che sarebbero disposte a spendere il 15% in più per capi di qualità superiore. Eppure, molte lamentano la scarsa attenzione dei marchi verso le esigenze legate a taglie diversificate, comfort o materiali eco-compatibili. Allo stesso modo, nel segmento degli articoli sportivi e fitness, una maggiore attenzione alla sicurezza e alla qualità potrebbe portare le consumatrici a incrementare la spesa annua di oltre 100 dollari per persona.

Inoltre, che sia food, abbigliamento o beauty, non si può più ignorare l’importanza di rappresentare adeguatamente tutte le fasi della vita delle donne: prodotti che rispondano alle esigenze specifiche delle neomamme, delle lavoratrici e delle donne over 50 sono ancora una rarità. Il messaggio è chiaro: per intercettare il pubblico femminile, le aziende devono smettere di considerarlo un blocco monolitico e iniziare a segmentare il mercato in modo più sofisticato.

Non dimentichiamo la comunicazione, di cui peraltro questi settori fanno ampio uso, ma uno degli errori più comuni è quello di adottare una comunicazione che perpetua stereotipi o ignora le sfumature dell’esperienza femminile. Troppe campagne parlano ancora alle donne in modo paternalistico, riducendole a semplici acquirenti di prodotti per la casa o la cura della famiglia. Ma le consumatrici di oggi vogliono riconoscersi nei messaggi dei brand: cercano empatia, autenticità e una narrazione che rifletta la complessità dei loro ruoli e delle loro aspirazioni. Anche in questo caso esempi virtuosi ci sono: brand che coinvolgono direttamente le donne nella progettazione dei prodotti, raccogliendo feedback in tempo reale attraverso piattaforme digitali o community dedicate; questi progetti non solo migliorano l’offerta, ma rafforzano il senso di appartenenza delle consumatrici al marchio, trasformandole in ambasciatrici fedeli.

In sintesi, il messaggio che emerge è chiaro: le aziende devono alzare l’asticella, non si tratta solo di inclusione o di equità, ma di un’opportunità strategica. Le donne non sono solo un segmento di mercato ma il cuore pulsante dell’economia globale. Comprendere le loro esigenze significa non solo crescere, ma costruire un rapporto di fiducia duraturo. In un mondo che si muove verso l’inclusività, chi sceglie di restare indietro non si limita a perdere una fetta di mercato: perde il futuro.

*direttore di Markup e Gdoweek


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