“Dal Foglio parole ipocrite e disinformate su The Voice of Hind Rajab: siamo indignati”
di Laetitia M. G. Tamburrino*
La narrativa occidentale islamofoba e filo-sionista che ha monopolizzato i media negli ultimi sessant’anni appare oggi anacronistica e pretestuosa, soprattutto se letta dalla prospettiva di giovani della Generazione Z come me. Recentemente Mariarosa Mancuso, commentatrice culturale de Il Foglio, ha scritto parole inquietanti riguardo a quello che è stato un momento storico della Mostra del Cinema di Venezia: la standing ovation per The Voice of Hind Rajab.
Il film ricostruisce l’ultima telefonata di una bambina di cinque anni intrappolata in un’auto durante un raid israeliano a Gaza nel 2024. Alla prima mondiale, la Sala Grande ha reagito con ventitré minuti di applausi, tra lacrime, rabbia, sdegno e protesta: un raro istante di catarsi collettiva, che ha fatto emergere il meglio dell’animo umano come solo il cinema sa fare, generando un momento di speranza per la causa palestinese. Eppure, non tutti hanno accolto questo momento con sensibilità. Mancuso, anziché leggere l’evento per ciò che era – un grido universale di umanità – lo ha liquidato con argomenti che rivelano più pregiudizio che analisi: “di lì a qualche anno le (a Hind Rajab) avrebbero imposto di non mostrare neppure una ciocca di capelli” e poi “Nessuno ha ricordato la carneficina del 7 ottobre”. Contestazioni di questo genere puzzano di ipocrisia islamofoba alle orecchie di chiunque si informi in maniera neutrale.
Gli studi più recenti, come quelli del professore israeliano Yaakov Garb, parlano di circa 400.000 palestinesi scomparsi dall’ottobre 2023, metà dei quali bambini. Questa e la realtà con cui fare i conti. Che, quello commesso in Palestina sia un genocidio, non è una questione politica. Come non lo è neanche l’opinione della Mancuso; è una mancanza di umanità. Le sue contestazioni perdono qualsiasi tipo di legittimità in faccia ad una tale strage umanitaria.
L’interpretazione della Mancuso è infatti incomprensibile per gente come me, ragazzi della generazione Z, studenti di relazioni internazionali. Forse ci mancano decenni di indottrinamento da parte di media che hanno per anni offuscato e giustificato i continui massacri in Palestina. Forse ci manca il self entitlement di voler esprimere un’opinione a fondo geopolitico senza avere studiato l’argomento; atteggiamento che traspare in ogni riga della scrittura di Mariarosa Mancuso. È paradossale, per chi conosce la storia di decenni di massacri, apartheid e insediamenti violenti sotto il piano coloniale sionista, sentire menzionare il “7 ottobre” come pretesto per legittimare o minimizzare il massacro palestinese. Ma c’è di più.
Ancora più preoccupante è la strumentalizzazione del femminismo liberale come arma ideologica per legittimare l’imperialismo occidentale. Come dichiarato nel documento declassificato Memorandum For Senior Pentagon Leadership – Department of Defense Women, Peace, and Security Implementation Plan, l’analisi di genere viene usata dal Pentagono come strumento strategico per le campagne di contro-insurrezione. In questo quadro, il ricorso di Mancuso a cliché sul “velo” e sulla presunta oppressione delle donne musulmane non è casuale: rientra perfettamente in quella narrativa tossica che Washington ha già codificato come utile al proprio progetto coloniale.
Che una giornalista italiana vi si inserisca inconsapevolmente non sorprende: non conosce i documenti, non padroneggia la materia, ma ripete meccanismi retorici consolidati. Ed è qui che nasce la mia preoccupazione, condivisa da molti della mia generazione. Non siamo semplicemente sgomenti a certe dichiarazioni: siamo indignati dal modo in cui il giornalismo italiano ha concesso per anni spazio a figure impreparate a esprimersi di geopolitica. L’effetto è stato un indottrinamento lento e capillare, che ha abituato intere generazioni a osservare impassibili non solo i massacri commessi da Israele negli ultimi sessant’anni, ma anche molte altre campagne militari illegittime commesse dagli Stati Uniti.
* Executive producer MEMO films
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