Ambiente

Dal design for all al design for each: come sta cambiando la visione della disabilità

La disabilità è oggi più che mai visibile e centrale nelle società occidentali: se ne parla di più e di conseguenza, rispetto al passato, la si nasconde meno. I diritti delle persone disabili sono sempre più al centro dell’agenda politica di istituzioni internazionali, governi nazionali e comunità locali. Tutto questo è senz’altro dovuto all’abbandono di una visione clinica delle disabilità in favore di una prospettiva meno ghettizzante, impregnata di una valenza socio-culturale e generalmente più inclusiva. Sembrano infatti, almeno a livello teorico, molto lontani i giorni in cui un potente attivista come l’afroamericano disabile James Charlton brandiva a piene mani e sventolava il motto Nothing About Us without Us, facendo dell’integrazione delle persone disabili una questione politica imprescindibile, radicata nella volontà di combattere ed eradicare non tanto le barriere, ma le marginalizzazioni quotidiane, gli stereotipi opprimenti e le difficoltà interazionali che queste persone incontrano ogni giorno. Dall’inizio del nuovo secolo, che sono anche gli anni delle battaglie di Charlton, la prospettiva è radicalmente cambiata: la Convenzione ONU per i Diritti delle Persone con Disabilità (UNCRPD) sostiene ripetutamente la necessità di favorire la reale inclusione delle persone disabili in ogni momento della vita quotidiana, con ogni strumento necessario. E sostiene a gran voce, la Convenzione ONU, anche l’applicazione dei principi del design for all alla creazione e ridefinizione di luoghi e servizi, proprio in chiave inclusiva.

I principi della progettazione universale, o design for all, declinati originariamente per un’applicazione in ambito architettonico, si sono diffusi in modo capillare e crescente dall’inizio del secolo, contribuendo fortemente alla ridefinizione dei concetti di disabilità e di accessibilità. Quel for all, o per tutti, è ormai onnipresente nelle denominazioni o descrizioni di progetti, spazi professionali o culturali, eventi. Al punto che il concetto stesso di per tutti sembra essersi diluito talmente tanto da aver perso valore.

Inoltre, nelle società sempre più complesse di oggi, in cui l’accessibilità e l’inclusione sono chiamate a rivolgersi a numeri e tipologie di persone in costante aumento, il concetto di per tutti sembra non bastare e non funzionare più. In sintesi, possiamo dire che le due grandi limitazioni di questo concetto, così come delle visioni improntate alle teorie del design for all, sono due. In primo luogo, risulta materialmente impossibile, se non concepire, senz’altro sviluppare e mettere in funzione un servizio o un luogo che sia realmente per tutti, anche in virtù dell’espansione del concetto di disabilità registrata in questi anni. A titolo di esempio, pensiamo alle certificazioni scolastiche destinate al sostegno di alunne e alunni delle scuole di ogni ordine e grado: sono sempre più numerose e complesse, con la conseguente difficoltà sempre maggiore di tracciare, ove opportuno, una linea di demarcazione tra disabilità, disturbi e patologie varie.

Secondariamente, creare qualcosa che sia realmente per tutti significa dare vita a un luogo, spazio o evento che possa soddisfare le esigenze di infinite tipologie di persone, ciascuna con le proprie specificità. Come sostengono Zallio e Clarkson (2021), il design universale prevede che un prodotto, un servizio o un luogo siano utilizzabili dal maggior numero di persone possibili, ma questo approccio “sta gradualmente evolvendo, per incorporare i principi dell’equità sociale e della diversità”. E’ proprio in questo senso che si registra, oggi, un’evoluzione prospettica importante. Non basta più pensare per tutti, perché è evidente che non tutti abbiamo esigenze assimilabili o amalgamabili. Parimenti, non basta più guardare alla disabilità e all’accessibilità in termini genericamente inclusivi ed egualitari: è ora più che mai necessario guardare alla disabilità come il valore e le caratteristiche di ciascun individuo.

E’ in questo senso che si registra un graduale e positivo movimento verso il design for each, in cui la diversità prende il posto della più generica inclusione, senza rinnegare l’enorme importanza del design for all come punto di partenza per quella che sembra essere di fatto una sua ulteriore e positiva declinazione. Dobbiamo, a questo punto, solo augurarci che a queste importanti rivoluzioni delle idee e dei principi corrispondano sempre più rivoluzioni reali, positive e costruttive a tutti i livelli: da quello internazionale a quello locale. A reale vantaggio e sostegno della diversità.


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