Politica

“Dal 2019 il potere d’acquisto dei salari è calato del 10,5%”. L’allarme nel rapporto annuale dell’Istat

Da gennaio 2019 alla fine del 2024 il potere d’acquisto delle retribuzioni contrattuali italiane è sceso del 10,5% a causa dell’aumento dei prezzi. Se si prendono in considerazione le retribuzioni lorde di fatto per dipendente – che tengono conto degli accordi aziendali e individuali e dei cambiamenti della composizione dell’occupazione – la perdita si ferma al 4,4%, comunque ben superiore al 2,6% della Francia e all’1,3% della Germania, mentre in Spagna si è registrato un guadagno del 3,9%. A mettere in fila numeri che inquadrano una situazione emergenziale è l’Istat, nel rapporto annuale 2025 presentato oggi dal presidente Francesco Maria Chelli alla Camera dei Deputati.

Solo nell’ultimo anno si è registrato un parziale recupero, con le retribuzioni contrattuali nominali cresciute più dell’inflazione. Un recupero significativo soprattutto rispetto a fine 2022, quando la perdita del potere d’acquisto aveva raggiunto il 15%. Alla fine del 2024 la crescita delle retribuzioni contrattuali per dipendente è stata pari al 10,1% rispetto all’inizio del 2019, a fronte di un aumento dell’inflazione pari al 21,6%.

Se il reddito reale da lavoro per occupato si è ridotto, quello delle famiglie – precisa l’Istat – è cresciuto per due fattori congiunti: da un lato le entrate garantite da due stipendi anziché uno (“aumento del numero di componenti occupati”), dall’altro la riduzione numerica del nucleo domestico (“riduzione della quota delle famiglie con figli”). In aumento infatti il numero dei soggetti singoli e delle libere unioni, nonché le famiglie monogenitoriali e quelle ricostituite. L’aumento del reddito familiare, tra 2004 e 2024, è stato del 6.3% anche grazie (terzo fattore) “alla maggior diffusione della proprietà della casa di abitazione”.


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