Da Dreyfus a Israele: 130 anni fa la condanna del capitano ebreo
«Morte a Dreyfus, morte agli ebrei!» grida la folla nel cortile di una gelida École militaire di Parigi il 5 gennaio 1895. Il generale Darras si rivolge al capitano e scandisce: «Siete indegno di portare le armi. Nel nome del popolo francese vi degradiamo». Alfred Dreyfus ha la forza di rispondere: «Disonorate un innocente». Intanto gli tagliano i galloni e gli tolgono la spada, spezzandola.
La folla è eccitata e insulta l’ufficiale ebreo condannato per spionaggio il 22 dicembre, due settimane prima. In mezzo alla folla i cronisti, e tra questi un trentaquattrenne corrispondente della Neue Freie Presse, giornale austriaco con sede e Vienna: un ebreo-ungherese laico, di lingua tedesca e origini aschenazite, nato a Budapest in via Dohány, dove oggi sorgono museo ebraico e Grande sinagoga. Si chiama Theodor Herzl. «Neanche sei mesi dopo – come scrive Luigi Compagna in Theodor Herzl, il Mazzini d’Israele – sarà pronta la prima stesura del suo libro, Der Judenstaat, col quale avrebbe avuto origine la storia di Israele». Inviato a seguire il processo che faceva discutere l’Europa, Theodor vede quella scena mortificante e realizza che Dreyfus è stato condannato in quanto ebreo.
«Le traître». Il traditore, così il 13 gennaio 1895 titolerà il Petit journal, dedicando la copertina domenicale e otto pagine interne alla cerimonia di degradazione pubblica di Dreyfus. Il giornale è popolarissimo, soprattutto in provincia – nel 1900 arriverà a tirare circa un milione di copie – e da poco ha lanciato la grande innovazione della prima pagina illustrata a colori. Nel disegno spicca il rosso: trecce e bottoni che ricoprono il selciato della scuola di Parigi. Sono stati strappati dall’uniforme del capitano ebreo, che viene raffigurato sull’attenti, nell’atto di proclamarsi innocente e patriota, mentre un soldato gli si para davanti per spezzargli la spada. L’umiliante rito si è celebrato pochi prima ed esegue la sentenza proclamata dal Consiglio di Guerra di Parigi il 22 dicembre, all’esito di un processo farsa imbastito in fretta e furia, durato tre giorni e rivelatosi non il frutto di un errore ma un’autentica macchinazione, alimentata in un clima di mefitico antisemitismo serpeggiante nelle élite francesi, non solo militari, dopo la debacle della guerra franco-prussiana.
Sono passati 130 anni esatti da quella sentenza con cui sette giudici, all’unanimità, avevano pronunciato il verdetto di condanna, senza alcuna prova, se non una vaga somiglianza calligrafica e prove artefatte. Si era deciso che l’autore del famigerato bordereau indirizzato ai tedeschi fosse lui, l’unico ufficiale ebreo dello stato maggiore. Un colonnello, Georges Picquart, aveva dimostrato che la grafia del documento incriminato era del maggiore di fanteria Ferdinand Walsin-Esterházy, rampollo oberato da debiti di gioco. Indagini e campagne furono inutili.
La spia pronta a trasmettere segreti militari ai tedeschi doveva essere quell’ufficiale di artiglieria ebreo alsaziano, Dreyfus.
Il tribunale militare lo dichiarò colpevole del reato di alto tradimento condannandolo alla deportazione a vita nell’Isola del Diavolo, nella Guyana francese. Dreyfus restò in carcere dal 15 ottobre 1894 al rilascio il 20 settembre 1899. Cinque anni della mia vita si intitola il diario che dette alle stampe nel 1901. (1. continua)
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