Cure, il traguardo resta l’equità del sistema sanitario
L’Italia può contare su un sistema sanitario, uno dei pochi del mondo, improntato all’equità ma gli ultimi dati indicano un divario
L’Italia può contare su uno dei pochi sistemi sanitari del mondo improntato all’equità, universalismo e uguaglianza sanciti dalla Carta costituzionale e, fatti salvi i ticket (e i relativi cittadini esenti) e la compartecipazione alla spesa per prestazioni considerate non essenziali, il Servizio sanitario pubblico italiano rappresenta uno degli architravi dello Stato sociale.
Fatte queste dovute premesse va sottolineato che, secondo i dati Ocse, ai circa 136 miliardi di euro della spesa sanitaria pubblica corrispondono anche ulteriori 40 miliardi di spesa completamente privata, di cui solo il 17 o 18% intermediata da casse autonome professionali o da assicurazioni, configurando dunque nei fatti, un sistema misto, pubblico e privato, in cui questa seconda voce assorbe circa un quarto delle risorse spese.
Se dunque a tutti i cittadini deve essere garantita parità di accesso in rapporto a uguali bisogni di salute, nei fatti esistono possibilità di cura a cui non tutti possono accedere allo stesso modo soprattutto alla luce della tumultuosa innovazione tecnologica che investe tutti i settori, compreso quello sanitario. L’industria del farmaco in questa partita gioca un ruolo centrale. I farmaci sono il principale presupposto di tutte le cure sanitarie pubbliche e private erogate ai malati e il loro costo e l’erogazione a carico del Ssn è regolato dall’Aifa agenzia tecnica del ministero della Salute.
Partiamo dai dati: nel nostro Paese il tetto della spesa farmaceutica convenzionata è stato fissato al 6,80% del Fondo sanitario nazionale (in quell’anno di importo pari a 132.674.084.232 euro), nuovo limite stabilito dalla Legge di Bilancio del 2024 (30 dicembre 2023, n. 213).
La spesa farmaceutica per acquisti diretti di medicinali da parte delle Regioni (e dunque spesa ospedaliera e convenzionata) è stata tuttavia, nel 2024, pari all’11% del Fondo Sanitario Nazionale contro l’8,3% programmato, con uno sforamento di 3,640 miliardi, ben superiore ai 3,278 miliardi dell’anno precedente. Al netto dei gas medicinali, la spesa complessiva per acquisti diretti di farmaci ha raggiunto dunque nel 2024 i 14,631 miliardi. La spesa convenzionata nelle farmacie territoriali ha totalizzato 8,353 miliardi lo scorso anno che, nonostante la leggera crescita, ha prodotto un avanzo di 651 milioni rispetto al tetto di spesa programmato (come detto il 6,8% del Fondo sanitario nazionale).
All’incremento della spesa convenzionata, con un +1,3% rispetto al 2023 (159 milioni) ha contribuito l’aumento dei consumi, con oltre 7 milioni di ricette in più. Considerando anche i gas medicinali, la spesa farmaceutica complessiva del 2024 si è attestata a 23,227 miliardi, con un aumento di quasi 22 miliardi di euro rispetto al 2023.
Uno dei nodi irrisolti è il notevole divario nella spesa pubblica a livello di singole regioni, tanto che la percentuale rispetto ai fondi sanitari regionali oscilla dal 9,18% della Lombardia al 13,12% della Campania. Valle d’Aosta e Provincia Autonoma di Trento, alla stregua della Lombardia, si collocano al di sotto del 10% del Fondo sanitario regionale; di contro, oltre la Campania, superano la soglia del 12% anche il Friuli Venezia Giulia, l’Emilia-Romagna, l’Abruzzo e la Sardegna. Una disomogeneità in parte riconducibile al fatto che in alcune regioni, come la Campania, a più basso reddito procapite, la gran parte della popolazione ricorre alla ricetta del medico per acquistare i farmaci mentre in Lombardia c’è una maggiore quota di spesa diretta e dunque non a carico del servizio sanitario.
Il trend negli ultimi anni della spesa farmaceutica totale è in costante crescita e risente dell’immissione e autorizzazione all’uso in Europa e in Italia di nuove molecole e di farmaci innovativi ad alto costo.
L’innovazione nel settore farmaceutico è cruciale per migliorare la salute della popolazione italiana, ma la sostenibilità di tali innovazioni rappresenta una sfida significativa. Basta pensare al settore oncologico o a quello delle malattie rare dove singole molecole e procedure (come le Car-t) anticorpi monoclonali, farmaci biologici anche molto efficaci possono arrivare a costare centinaia di migliaia di euro per singola dose e anche più.
Fino a tre anni fa la copertura della spesa per questi ultimi (poi bisognerebbe approfondire anche i criteri con cui un farmaco è considerato tale) era garantita da due fondi ad hoc di 500 milioni di euro, (il primo per il settore oncologico e il secondo per tutti gli altri) assegnati alle Regioni con gli stessi criteri del Fondo sanitario nazionale. Questi due fondi sono stati poi riuniti in un unico capitolo incrementato di 100 milioni all’anno che attualmente ha raggiunto 1,3 miliardi di euro.
Nonostante i fabbisogni crescenti, non tutte le Regioni impiegano per intero queste poste finanziarie a causa di una tagliola che pende sui loro bilanci. Dopo tre anni infatti la spesa assorbita, a prescindere dal fatto che quella molecola sia o meno ancora considerata innovativa, ricade sui bilanci delle Regioni. Una condizione sufficiente per spingere molte compagini a non attingere più di tanto a questo fondo per motivi di sostenibilità. Tranne la Lombardia e la Campania infatti che spendono rispettivamente oltre il 90 e oltre l’’80 per cento di questo fondo, le altre regioni si fermano a percentuali che oscillano dal 70% di Emilia e Toscana, a circa il 50 percento del Lazio).
«Il futuro della farmacologia e anche la spesa farmaceutica in Italia – avverte Claudio Zanon, medico e direttore scientifico dell’Osservatorio innovazione di Motore Sanità – deve considerare i risultati della ricerca alimentata dall’innovazione biologica assemblata all’innovazione digitale. Basta pensare all’oncologia in cui non si parla più di tumori d’organo, ma sempre più di mutazioni genetiche comuni a tumori che colpiscono più organi ma con le stesse caratteristiche molecolari. Ciò permetterà un’accelerazione della sperimentazione ed entrata nel mercato e dell’uso da parte dei pazienti di farmaci che possono essere attivi allo stesso modo su più tumori. Questo il proposito che sta portando avanti l’Esmo e su cui anche gli oncologi si stanno confrontando.
La seconda questione è che il nostro Ente regolatore (Aifa) dovrebbe considerare la centralità della semplificazione per la immediata disponibilità di farmaci autorizzati in Europa dall’Ema. La Germania ad esempio prima autorizza le nuove molecole disponibili e poi contratta il prezzo di rimborso con le Case farmaceutiche. L’Aifa dovrebbe approfondire invece il reale impatto, anche posteriormente, del farmaco valutando l’efficacia e dunque il rapporto costo-beneficio così da consentire la vera valorizzazione delle molecole realmente innovative razionalizzando la spesa.
Va poi considerata l’opportunità di garantire per singole patologie, ad alto impatto sociale e di costo, un fondo dedicato all’innovazione: così per il diabete o l’Alzheimer, in cui inserire in maniera omogenea nelle regioni i nuovi device per il monitoraggio continuo della glicemia, i test di laboratorio, ecc. Riforme non difficili da conseguire attingendo da un lato ai costi comprimibili (la sola medicina difensiva ossia esami inutili per difendersi dal contenzioso medico legale assorbe 13 miliardi di euro) e dall’altro alla razionalizzazione della spesa pubblica improduttiva».
Attualmente le regioni del Nord tendono a beneficiare di un accesso migliore ai farmaci innovativi rispetto a quelle del Sud, dove le difficoltà economiche e l’accesso limitato ai servizi sanitari influiscono negativamente sulla spesa. La sostenibilità delle innovazioni farmacologiche è influenzata da diversi fattori. In primo luogo, è fondamentale condurre analisi costi-benefici per valutare l’efficacia dei nuovi farmaci rispetto ai costi sostenuti. L’AIFA ha implementato procedure di valutazione economica per garantire che i farmaci offrano un valore terapeutico adeguato ma il meccanismo è spesso lungo e farraginoso. La collaborazione tra il settore pubblico e privato è cruciale per garantire l’accesso alle innovazioni. Iniziative come il “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” (PNRR) includono investimenti nella salute e nella ricerca farmaceutica, mirando a migliorare l’efficienza del sistema sanitario.
Centrale anche la formazione dei professionisti della salute e l’educazione dei pazienti, essenziali per massimizzare l’utilizzo delle terapie innovative. È fondamentale che i pazienti comprendano il valore delle nuove opzioni terapeutiche e che i professionisti siano aggiornati sulle ultime innovazioni.
La spesa farmaceutica in Italia e la sostenibilità delle innovazioni richiedono dunque un approccio strategico che consideri non solo i costi, ma l’investimento misurato in termini di efficacia e di riduzione delle complicanze a breve, medico e lungo termine delle patologie. È essenziale che le politiche sanitarie siano orientate a garantire che tutti i pazienti possano beneficiare delle nuove terapie, promuovendo un sistema sanitario più equo e sostenibile. La collaborazione tra governi, industrie e istituzioni è fondamentale per affrontare le sfide e migliorare l’accesso alle innovazioni farmaceutiche in tutto il Paese.
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