Basilicata

Crotone, ecco perché è stata assolta Maysoon: passeggera, non scafista

Il Tribunale penale di Crotone deposita le motivazioni della sentenza sul caso Maysoon assolta dall’accusa di essere una scafista


CROTONE – Le dichiarazioni dei due migranti che accusavano Maysoon Majidi, l’attivista curdo-iraniana rimasta dieci mesi in carcere perché considerata una scafista? «Poste in ragionevole dubbio», oltre che «dai dati probatori esaminati», anche dalle dichiarazioni rese da altri migranti che in aula hanno affermato che la sua posizione era quella di «mera passeggera».

MAYSOON, LE MOTIVAZIONI DELL’ASSOLUZIONE

Sono soltanto alcuni degli elementi che hanno portato il Tribunale penale di Crotone ad assolvere, per non aver commesso il fatto, l’imputata. Le motivazioni della sentenza, tre mesi fa accolta da Majidi con un abbraccio “liberatorio” col suo difensore, l’avvocato Giancarlo Liberati, depositate dal collegio presieduto da Edoardo D’Ambrosio.

I giudici ritengono «ragionevolmente provata» l’ipotesi alternativa a quella accusatoria secondo cui l’imputata, avendo già pagato il suo viaggio e mantenendo, fino al giorno della partenza per l’Italia, un rapporto personale con il trafficante Mohamadi Jamal, «non ha avuto necessità di pagare ulteriormente, né in denaro né mediante ausilio al capitano, l’ultima tratta dalla Turchia alle coste italiane». Accolte in toto le conclusioni dell’avvocato Liberati.

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DISCRASIE

Ma ecco, nel dettaglio, perché si è rivelata infondata l’accusa secondo cui l’imputata avrebbe, in concorso col capitano Ufuk Akturk, già condannato col rito abbreviato, trasportato illecitamente i migranti sbarcati il 31 dicembre 2023 a Crotone. I giudici riportano in sentenza la testimonianza del tenente Gaetano Barbera, all’epoca dei fatti comandante della Sezione operativa navale della Guardia di finanza di Crotone, che aveva coordinato le indagini. L’ufficiale ha precisato l’ipotesi investigativa da cui sono partiti i finanzieri, che era diversa da quella descritta dal capo d’imputazione.

MAYSOON, “UNA CONDOTTA D’AUSILIO”

Majidi avrebbe svolto una «condotta di ausilio» al comandante quale controprestazione per il viaggio, mentre soltanto per il fratello della donna sarebbe stato pagato un prezzo in denaro. Ipotesi poi esplicitata in udienza dalla pm Rosaria Multari che ha chiesto una condanna a 2 anni e 4 mesi di reclusione per Majidi. Ma non ha retto anche l’imputazione meno lieve. «Smentita da evidenze non trascurabili», rilevano i giudici.

L’ACCUSA

Soltanto due migranti furono sentiti nell’immediatezza dello sbarco dagli inquirenti. I due riferirono che Majidi godeva di libertà di movimento sull’imbarcazione e contribuiva a mantenere l’”ordine” a bordo. Inoltre, avrebbe fatto parte del gruppo di cinque fuggitivi notati dai finanzieri mentre si allontanavano a bordo di un tender dopo aver abbandonato l’imbarcazione principale, rimasta incagliata sulla spiaggia nella località Gabella. Uno degli elementi di prova era anche, sempre secondo l’accusa, costituito dai cortometraggi che ritraevano l’attivista sopra coperta. Video da lei realizzati col proprio telefono prima dello sbarco, all’alba del 31 dicembre.

LA SMENTITA

Sono quattro le testimonianze di segno contrario. Tra queste, quelle di due coniugi iraniani che hanno affermato di aver conosciuto Majidi sull’imbarcazione e di averla notata per il suo continuo malessere. I due hanno escluso sia che avesse libertà di movimento sia che avesse collaborato col capitano in quanto sarebbe salita sopra coperta soltanto alla fine del viaggio. Il fratello di Majidi ha, invece, ripercorso la fuga dall’Iran sotto la protezione del partito curdo Komala, quale dissidente politico, ricordando che la sorella era stata arrestata più volte durante manifestazioni. Il capitano, invece, ha conosciuto a bordo Majidi, nel terzo giorno di traversata.

I FUGGITIVI

Non ci sono prove, è la conclusione dei giudici, che i fuggiaschi volessero sottrarsi all’arresto in quanto scafisti. Piuttosto, non c’è la prova del contrario di quanto affermano Maysoon e gli altri. I fuggitivi volevano sottrarsi al controllo di frontiera, e quindi alle impronte digitali, al fine di chiedere asilo una volta in Germania. Perché là erano diretti. In base al Regolamento Ue 604/2013, detto “di Dublino”, il Paese europeo competente a ricevere le richieste di asilo di cittadini extracomunitari è quello di primo ingresso, cioè di sbarco. Nella logica del migrante “irregolare”, sarebbe stato «opportuno evitare di risultare sbarcato in Italia», osserva il Tribunale.

MANO NELLA MANO

Molto si è detto, in aula, a proposito del rapporto tra Majidi e il capitano. Ma il selfie fatto sulla costa calabrese e il video realizzato nella boscaglia mentre Akturk la teneva per mano «possono essere ragionevolmente letti nella cornice di una semplice amicizia nata tra i due nel corso della navigazione». Insomma, il capitano che tende la mano a Majidi le offre un «estemporaneo sostegno» mentre i due procedono in un tratto impervio, tra tronchi abbattuti.

I VIDEO

I video realizzati sopra coperta dalla donna all’alba del 31 dicembre? Il consulente tecnico del pm ha «sufficientemente accertato» che Majidi ha avuto disponibilità del proprio cellulare soltanto nel momento in cui i telefoni sono stati restituiti a tutti i migranti. Quindi lo ha utilizzato per realizzare un video muto che la ritraeva sopra coperta soltanto quando a tutti era concessa ormai libertà di movimento.

LA TRUFFA

L’organizzatore del viaggio avrebbe truffato Majidi alla quale non sarebbe stata garantita la prosecuzione del viaggio dalla Turchia all’Italia a fronte di un pagamento di 27mila dollari. Emerge da una serie di conversazioni memorizzate nelle chat estrapolate dal telefonino della donna. Ecco perché Majidi non doveva pagare ulteriormente per l’ultima tratta del viaggio. Il fatto che questa circostanza non sia stata «espressamente allegata» dall’imputata risulta, ad avviso dei giudici, «comprensibile».

Perché lo «stretto rapporto» tra i due poteva essere interpretato a suo sfavore, così come lo stano state tutta una serie di circostanze poi smentite in aula.


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