così il potere sfrutta pandemie, guerre e clima per rigenerarsi
di Sara Gandini e Paolo Bartolini
La società dell’emergenza (Sensibili alle foglie, 2024), l’ultimo saggio di Francesco Fantuzzi, si colloca dentro un dibattito cruciale a cui abbiamo partecipato sia su questo blog che nella commissione DuPre: come leggere il susseguirsi di crisi del nostro tempo e, soprattutto, come non farsi imprigionare da una narrazione che minimizza la complessità dei fenomeni e abbraccia risposte riduzionistiche.
Pandemia, guerra, crisi energetica, cambiamenti climatici: tutto viene declinato con la stessa grammatica dell’emergenza, che chiede obbedienza e sacrifici ai cittadini, mentre poco o nulla viene detto sulle cause strutturali e sulle alternative possibili.
Fantuzzi propone dieci parole chiave per orientarsi in questo scenario: sfiducia, post informazione, tecnocrazia, postdemocrazia, responsabilità, colpevolizzazione, paura, polarizzazione, caos e senso. È un vero e proprio decalogo post-pandemico che mostra come l’“emergenza permanente” sia diventata la cifra del nostro tempo. Qui il suo ragionamento si intreccia con la prospettiva sindemica di cui abbiamo parlato tante volte: la pandemia non è stata solo il frutto di un virus, ma l’effetto moltiplicatore di disuguaglianze sociali, precarietà economica, fragilità ambientali, che hanno radici nel terreno di un sistema economico e sociale che da decenni sfrutta le classi sociali più disagiate e non offre nulla in cambio.
Il libro di Fantuzzi non si limita a una critica del potere politico, ma mette in luce il ruolo decisivo dell’informazione e della tecnoscienza. L’autore descrive un sistema mediatico che ha amplificato la paura, strumentalizzandola e trasformandola in strumento di controllo sociale, e un apparato tecnologico che ha reso possibile nuove forme di sorveglianza: dal green pass all’IT-alert, fino alla retorica del “telefono che salva la vita”. Qui emerge un parallelismo con il “capitalismo della sorveglianza” di Shoshana Zuboff: l’uso della tecnologia non per emancipare ma per disciplinare.
Uno degli aspetti più interessanti del saggio è la riflessione sulla sfiducia. Se storicamente in Italia la distanza tra cittadini e istituzioni era già marcata, la sindemia ha accelerato questo processo. I cittadini sempre più percepiscono medici ed esperti come dogmatici, ideologici e non affidabili perché influenzati da grandi conflitti di interesse. E la politica non fa da argine, anzi, strumentalizza gli scienziati.
Ne è derivata una contrapposizione estrema: da un lato l’adesione fideistica alla linea ufficiale, dall’altro la radicalizzazione di ogni voce critica, ridotta a caricatura. Anche Fantuzzi ribadisce come questo clima di delegittimazione reciproca non solo non aiuti a capire, ma alimenti un caos che rende la società ancora più governabile attraverso lo strumento dell’emergenza.
Come abbiamo cercato di fare spesso su questo blog, Fantuzzi collega le crisi tra loro: la pandemia, la guerra, il disastro eco-climatico. Non eventi separati, ma tasselli di un continuum che il potere utilizza per rigenerarsi. Se durante l’era Covid il capitalismo sembrava vacillare, la guerra lo ha rilanciato grazie ai profitti dell’industria bellica e fossile. La sindemia, dunque, non è solo sanitaria: è sociale, politica, economica, e il libro invita a coglierne la portata globale. A questo proposito invito a leggere anche le riflessioni di Fabio Vighi sulla crisi del capitalismo e le politiche emergenziali.
Il merito di Fantuzzi è anche che non si limita a denunciare, ma propone una via d’uscita: la necessità di ripensare il modello stesso di sviluppo, ponendo la “decrescita” e la “prossimità” come parole chiave per una società da rifondare. In un mondo dove l’individualismo e la competizione hanno eroso la coesione sociale, bisogna recuperare dimensioni collettive.
“Occorre che i dissidenti pensino a creare qualcosa come una società nella società, una comunità degli amici e dei vicini dentro la società dell’inimicizia e della distanza” scriveva Agamben. E noi aggiungiamo: una comunità di persone in cammino che, invece di chiudersi dentro il perimetro di una prassi autoreferenziale, si impegni a gettare ponti e a costruire nessi tra movimenti e istituzioni, tra la base e i decisori politici.
Quello di Fantuzzi è un testo che, nel solco delle riflessioni più attente sulla sindemia, ci ricorda che la vera emergenza non coincide con il virus, la guerra o la crisi climatica, ma con la perdita di senso e di umanità implicita in un sistema che produce diseguaglianze e infelicità alla stessa velocità con la quale impone le sue “innovazioni” tecnologiche.
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