Marche

così Amir è morto dissanguato

SAN BENEDETTO Choc emorragico provocato da una coltellata che ha lesionato l’aorta ascendente. È questo il motivo della morte di Amir Benkharbouch, il ventiquattrenne giuliese di origini tunisine, deceduto una settimana fa sotto una palma di fronte all’hotel Arlecchino, colpito per errore con un’arma da taglio da uno dei suoi amici, durante una rissa con alcuni giovani residenti in riviera. E sotto quella palma sono stati portati fiori, peluche, lumini per ricordare una vita strappata troppo presto ai suoi genitori, quei genitori che ieri si sono visti restituire la salma del loro figlio per organizzare i funerali.

L’arma del delitto

I medici legali stanno ora lavorando sul coltello che ha ucciso il giovane, ritrovato in un tombino nei pressi dell’hotel Arlecchino, per stabilire se sia stato utilizzato anche per ferire gravemente altri coinvolti nella rissa.

Secondo gli inquirenti la volontà di affrontarsi per futili motivi è stata di tutti i partecipanti alla rissa. Tre persone sono attualmente detenute nel carcere di Marino del Tronto: Federico Di Stanislao, Denis Raoul Rotaru e il trentenne Federico Sorge. Daniele Seghetti, il trentunenne di Grottammare, è ancora ricoverato all’ospedale di Torrette di Ancona in prognosi riservata.

Su di lui pende un ordine di custodia cautelare in carcere e le porte della casa circondariale si apriranno al momento della dimissione. Ma viste le gravi condizioni in cui versa passerà del tempo. Seghetti ha precedenti penali anche recenti per rissa e rapina, e al momento dei fatti era sottoposto alla misura dell’affidamento in prova ai servizi sociali. Sorge risulta incensurato, ma «la brutalità con cui ha utilizzato la catena soprattutto nei confronti del ragazzo che stava prestando soccorso all’amico morente» e le dichiarazioni spontanee, ma secondo gli investigatori non veritiere hanno indotto il giudice per le indagini preliminari, Angela Miccoli, a confermare per lui e per Seghetti l’arresto con custodia cautelare nel carcere di Marino.

I testimoni

Seghetti infatti secondo i testimoni, nonostante i tre giuliesi fossero stati portati all’esterno del locale dagli uomini della sicurezza, ha chiamato l’amico per chiedere aiuto nell’affrontarli, e nonostante le gravi ferite riportate e il sangue che stava perdendo dal fianco sinistro avrebbe inseguito i tre abruzzesi continuando a colpirli, nonostante uno di loro stava esalando il suo ultimo respiro. Particolari scioccanti che emergono anche dalle dichiarazioni fatte da uno sconvolto Di Stanislao ai militari e ai sanitari che per primi hanno prestato soccorso alla vittima e agli altri feriti.

«Hanno continuato a picchiarmi in testa anche mentre soccorrevo Amir esanime a terra» racconta Di Stanislao. Poi tenta di ricordare i fatti. Daniele Seghetti è stato visto uscire da alcuni testimoni dalla porta secondaria del Kontiki lato sud, è stato raggiunto da Federico Sorge e insieme si sono diretti verso i tre giuliesi. Sorge «ha estratto una catena dalla propria felpa, mentre Rotaru, arrivato con la mannaia in mano, ha iniziato a brandirla verso tutti fino a colpire Helmi Nessibi al capo per due volte provocandogli traumi» spiega un testimone del tragico episodio.

La raccolta di fondi

Intanto infuria la polemica sulla raccolta di fondi per pagare le spese legali a Seghetti per la quale lo stesso avvocato difensore Cacaci si è dissociato. Gian Marco Iacoponi, organizzatore della raccolta fondi sulla piattaforma Gofundme, spiega che il gesto è nato da un’idea degli amici condivisa dal padre del ragazzo, Nerio Seghetti: «Daniele è un caro amico. Purtroppo, le spese legali saranno importanti, per aiutarlo a superare questo momento critico, abbiamo deciso di avviare una raccolta fondi. Daniele è una persona che ha sempre dato tanto agli altri: che si trattasse di un sorriso, di una mano tesa o di un momento di sostegno. Ora è il momento in cui possiamo restituirgli un po’ di ciò che ci ha dato».

La raccolta fondi è giunta a 9.122 euro. Nei prossimi giorni potrebbe essere chiusa.




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