Corte Giustizia Europea: gli anni di insegnamento nelle scuole paritarie non valgono per la ricostruzione di carriera e gli scatti stipendiali. ANIEF: “si chiude un capitolo ma non la vertenza”

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha confermato la legittimità della norma italiana che esclude gli anni di insegnamento nelle scuole paritarie dal calcolo della carriera nel sistema scolastico statale. Con questa decisione – arrivata attraverso la causa C-543/23 (Gnattai) – viene consolidata una posizione già assunta in precedenza dalla Corte costituzionale. L’articolo 485 del Testo Unico della scuola resta quindi compatibile con il diritto dell’Unione, almeno nella lettura dei giudici.
Il ruolo dell’Avvocato generale
Le conclusioni dell’Avvocato generale Kokott, però, avevano sollevato alcune criticità. Pur senza influenzare l’esito della sentenza, il testo delle sue osservazioni ha sottolineato una tensione interna alla normativa italiana, segnalando una distanza tra il principio di uguaglianza formale e la concreta parità di trattamento tra docenti. Un dettaglio che Anief – promotrice del ricorso – ha scelto di tenere al centro della propria linea sindacale.
Il sindacato cambia direzione
Per Anief, il pronunciamento della Corte segna la chiusura di un capitolo ma non della vertenza. L’associazione prende atto dell’esito giudiziario e sposta il confronto sul piano politico. Secondo il sindacato, l’esclusione degli anni di servizio nelle scuole paritarie continua a rappresentare un’anomalia normativa da correggere. Il riferimento non è solo ai singoli casi, ma a una platea di lavoratori che per anni ha sostenuto l’equilibrio del sistema educativo senza vedersi riconosciuto alcun avanzamento professionale.
Strategia e obiettivi
Nei prossimi mesi, Anief punterà su interlocuzioni parlamentari, iniziative pubbliche e campagne tematiche. L’obiettivo è ottenere una modifica normativa che superi l’attuale assetto. Il margine aperto dalle conclusioni dell’Avvocato generale rappresenta, secondo il sindacato, un varco utile per rilanciare una proposta di riforma che affronti la disparità di trattamento non solo in termini giuridici ma anche politici.
Verso una mobilitazione più ampia
L’organizzazione conferma il proprio impegno e rilancia l’azione, scegliendo di non chiudere la vertenza con la sentenza di Lussemburgo. La nuova fase, orientata a livello legislativo, punta al riconoscimento effettivo di un’esperienza lavorativa che ha avuto, per molti, un peso significativo. La questione rimane aperta, e il fronte sindacale guarda ora al Parlamento.
Source link