Controlli invasivi su dipendenti malati, agenzia investigativa segue dirigente malato anche a Natale: licenziamento illegittimo per la Cassazione che tutela la privacy del lavoratore
La Corte di Cassazione ha confermato con ordinanza n. 23578 del 20 agosto 2025 l’illegittimità di un licenziamento basato su controlli ritenuti eccessivamente invasivi nei confronti di un dirigente in malattia. La decisione della Sezione Lavoro rappresenta un precedente notevole per la tutela della privacy dei lavoratori durante i periodi di assenza per motivi di salute.
Controlli investigativi oltre i limiti di legittimità
La vicenda giudiziaria ha avuto origine dal licenziamento di un dirigente accusato di aver violato l’obbligo di reperibilità durante il periodo di malattia. L’azienda aveva incaricato un’agenzia investigativa di controllare il dipendente, sospettando che si allontanasse dalla residenza nelle fasce orarie stabilite dalla normativa e dalla contrattazione collettiva.
I controlli, tuttavia, si sono rivelati particolarmente invasivi: sono stati condotti per 16 giorni durante il periodo natalizio, includendo le giornate di Natale e Santo Stefano, con pedinamenti che si protraevano dall’alba (ore 7.00) fino a sera (ore 20.00), ben oltre le fasce di reperibilità previste. Le attività di sorveglianza hanno coinvolto non solo il lavoratore ma anche i suoi familiari e le persone che frequentava, estendendosi a ristoranti e luoghi pubblici.
La Corte d’Appello di Venezia aveva già dichiarato l’illegittimità del licenziamento, evidenziando come il controllo fosse stato disposto “al di fuori dei presupposti di legittimità” poiché l’azienda non aveva dimostrato l’esistenza di “circostanze oggettive tali da configurare un fondato o ragionevole sospetto di illecito” precedente all’avvio delle verifiche. I giudici avevano inoltre sottolineato la violazione dei principi di proporzionalità e minimizzazione nella gestione dei dati personali.
La conferma della Suprema Corte sui principi di tutela del lavoratore
La Cassazione ha respinto integralmente il ricorso dell’azienda, confermando l’orientamento dei giudici di merito. I supremi giudici hanno ribadito che l’apprezzamento relativo “alla natura ed estensione della sorveglianza sul lavoratore e del conseguente grado di intrusione nella sua vita privata” costituisce una questione di merito, sottratta al sindacato di legittimità.
Particolarmente significativa risulta l’osservazione della Corte secondo cui sarebbe stato sufficiente per il datore di lavoro richiedere la visita fiscale all’INPS per verificare l’eventuale violazione delle fasce di reperibilità, senza ricorrere a controlli così pervasivi. La decisione sottolinea come elementi conoscitivi acquisiti in violazione di diritti fondamentali, come la protezione dei dati personali, non possano essere configurati come prove utilizzabili nel procedimento disciplinare.
La Suprema Corte ha anche confermato la condanna dell’azienda al pagamento dell’indennità supplementare nella misura massima di sedici mensilità e dell’indennità di mancato preavviso, stabilendo inoltre il pagamento delle spese processuali per 6.000 euro oltre accessori. La pronuncia rappresenta un monito per i datori di lavoro sull’importanza di rispettare i limiti normativi nei controlli sui dipendenti, bilanciando le legittime esigenze aziendali con la tutela della privacy e della dignità del lavoratore.
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