Consiglio europeo, Meloni detta la linea. Il centrodestra lima la risoluzione – Il Tempo

Prima al Senato, martedì pomeriggio a partire dalle 14.30. La mattina successiva alla Camera. Giorgia Meloni torna in Parlamento, per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 20-21 marzo, e ad attenderla troverà due aule che si annunciano infuocate. Non solo perché da settimane le opposizioni reclamano la premier in aula chiedendo che riferisca sui temi di principale attualità, dai casi Almasri e Paragon alla questione Santanchè, dall’Ucraina al piano di riarmo Ue. Ma anche perché proprio sul destino di Kiev e sulle mosse dell’Europa dovrà trovare un equilibrio nei rapporti internazionali e in quelli interni alla sua maggioranza. La presidente del Consiglio è stata chiara, durante la videocall con la “coalizione dei volenterosi” convocata dal premier britannico Starmer: l’Italia continuerà a lavorare per una pace giusta e per la sicurezza in Ucraina, al fianco dei partner europei ma – è la precisazione non è scontata – anche degli Stati Uniti. Ma è escluso qualsiasi invio di truppe sul campo, come invece prospettato dalla coalizione a trazione anglo-francese.
Questa posizione Meloni ribadirà nel suo intervento e sembra un buona base per l’intesa che la maggioranza dovrà trovare sulla risoluzione unitaria da portare in aula durante la discussione sul Consiglio europeo. Lo conferma Forza Italia che, con il capogruppo Paolo Barelli, sottolinea che «il nostro governo è attento a ogni iniziativa che favorisca la pace in Ucraina e che confermi il nostro rapporto privilegiato con gli Usa e la Nato», e «potrà essere valutata la partecipazione di nostri militari in Ucraina, ma solo sotto la responsabilità di una missione Onu». E lo conferma anche Maurizio Lupi di Noi moderati: «Sosteniamo la linea del governo sull’Ucraina. L’Italia deve lavorare per costruire una difesa unica europea, condizione fondamentale per una pace duratura, nella consapevolezza che è necessario mantenere un legame tra le due sponde dell’Atlantico perché gli Usa hanno bisogno dell’Ue e viceversa». Però è proprio sulla questione del riarmo europeo che sembra più difficile trovare un punto di caduta, viste le posizioni cristalizzate, con la Lega che si smarca dagli alleati e il vicempemier Matteo Salvini che – confortato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti – continua a esprimere perplessità sull’aumento della difesa militare e sulla costruzione di un esercito europeo. Una sintesi potrebbe essere trovata sul cosiddetto “lodo Giorgetti”, ovvero sull’idea di coinvolgere fino a 200 miliardi di investimenti privati per rafforzare la difesa nazionale, limitando il ricorso al debito pubblico.
Sul fronte dell’opposizione, invece, quasi certamente si andrà in ordine sparso, con singole risoluzioni che rifletteranno i distinguo tra i vari partiti. La segretaria del Pd Elly Schlein, dopo la piazza per l’Europa, proverà a rilanciare l’intesa sul progetto di un’Europa «federale e politica», ma deve fare i conti con un partito uscito spaccato dopo il voto al Parlamento europeo sul riarmo. Martedì mattina, prima della discussione in Senato con Meloni, la leader dem riunirà i gruppi parlamentari per un primo chiarimento e per cercare unità, ma al momento la linea resta quella: no al riarmo dei singoli Stati senza un progetto di difesa comune. Chi continua a martellare contro «il folle Piano di Riarmo» è invece il leader M5S Giuseppe Conte, che attacca un «piano che lascia gli Stati liberi di spendere in armi una montagna spropositata di miliardi, in ordine sparso e senza una difesa comune mentre si impongono vincoli sulle spese in sanità e scuola, per le imprese e l’innovazione», mentre il governo Meloni «si è affannato a chiedere a Bruxelles di spendere fino a 35 miliardi in armi fuori dai vincoli europei. Dobbiamo fermarli». Le distanze restano anche sulla piazza di Roma, disertata dallo stesso Conte. «Rispetto la sua scelta, frutto di una valutazione legittima», commenta Nicola Fratoianni di Avs, sottolineando «che erano tantissime le bandiere della pace, e soprattutto era larghissimo e diffusissimo il sentimento di chi pensa che dell’Europa ci sia un disperato bisogno». Quindi precisa che «se c’è una cosa molto chiara è quella che buttare 800 miliardi di euro in nuove armi significa suicidarsi, significa suicidare l’Europa», e «c’è un problema gigantesco all’interno del governo e della sua maggioranza di destra, si sono differenziati enormemente nel voto a Strasburgo. In questi giorni le principali forze dell’opposizione Pd, M5S e Avs hanno detto la stessa cosa: il piano di riarmo europeo che finanzia la spesa militare delle singole nazioni è una scelta sbagliata». Si spinge addirittura più in là il collega di partito Angelo Bonelli: «Si sta delineando una strada politica chiara e netta: il voto contrario al RearmUE espresso da Pd, M5S e Avs dimostra che esiste un nucleo politico che può iniziare a costruire un’alternativa di governo alla destra di Giorgia Meloni». Sempre che i dem trovino la quadra.
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