Comunali, la carica dei candidati in divisa: forze dell’ordine in lista per avere permessi e soldi
Sei un poliziotto o un militare e vuoi farti oltre un mese di ferie in più, ovviamente retribuito? Semplice, candidati (per finta). Basta creare una lista con qualche collega in un comune con meno di 1.000 abitanti, dove non è necessario essere residenti né raccogliere le firme, e il gioco è fatto.
Per agenti di polizia, carabinieri, agenti di custodia e militari vari vale l’articolo 81 (“norme di comportamento politico”) della legge 121 del 1° aprile 1981, secondo cui “gli appartenenti alle forze di polizia candidati ad elezioni politiche o amministrative sono posti in aspettativa speciale con assegni dal momento della accettazione della candidatura per la durata della campagna elettorale e possono svolgere attività politica e di propaganda, al di fuori dell’ambito dei rispettivi uffici e in abito civile”. Sancito un giusto principio, cioè facilitare la partecipazione attiva, ecco però che a parecchi si è accesa la lampadina: perché non approfittarne? Basta prendere una cartina geografica, scegliere il piccolo comune al voto, compilare qualche documento e via.
Il fenomeno non è nuovo ma le cronache locale in giro per l’Italia, anno dopo anno e anche in queste settimane, regalano delle vere e proprie perle. Quest’anno nelle regioni a statuto ordinario sono solo 12 i comuni con meno di mille abitanti chiamati al voto. In queste località nel 2021 gli abitanti risultavano essere in totale 5.758, ma sono state presentate addirittura 107 liste, come detto tutte rigorosamente senza bisogno di raccogliere firme, come disposto dalla legge. Praticamente una media di 9 liste a comune, ma in alcuni si è decisamente esagerato.
E così a Senerchia, 700 abitanti in provincia di Avellino, per le prossime elezioni comunali si sono candidati quasi 200 tra agenti e soldati. Nessuno di loro è residente. A Castelnuovo di Conza, provincia di Salerno, concorrono 13 tredici liste, 11 sono composte da agenti. Stessa provincia: a Sant’Angelo a Fasanella, 500 abitanti, sono state depositate ben 14 liste; a Ispani, 959 abitanti, dieci liste. A Bisegna (L’Aquila) ci sono 25 liste anche se nel comune abitano solo 212 persone. La Stampa racconta il caso di Malvicino, provincia di Alessandria: “In sei per la poltrona di primo cittadino ma nessuno sa chi siano e cosa li spinga a mettersi in gioco”, titola il quotidiano. Nove liste a Calvignano (Pavia) e San Giacomo Vercellese.
“Un fatto interessante – dice Gabriele Maestri, esperto di simboli elettorali e procedure amministrative, creatore di isimbolidelladiscordia.it – è che la proposta di sostituire la licenza pagata con quella senza assegni avanzata da alcuni parlamentari non sia mai stata nemmeno esaminata dalle Camere nelle ultime due legislature, mentre quella che punterebbe a introdurre di nuovo un minimo di firme anche nei comuni sotto i mille è bloccata alla Camera da un anno”.
Qual è l’unico rischio di questa praticamente perfettamente legale ma anche eticamente discutibile? Essere eletti, magari sindaco. Perché a quel punto i vacanzieri della democrazia sarebbero costretti a dimettersi, e come avvenuto in passato, poi partirebbe l’iter del commissariamento e delle nuove elezioni. Una figuraccia per tutti, con annesse e successive indagini interne ai corpi di polizia contro quelle che proprio Repubblica nel 2020 definì “banda dell’aspettativa”, visto che – da ciò che risultò allora – c’erano alcuni affezionati della pratica.
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