come rendere l’azienda attraente nel processo di selezione
Una delle frasi più usate dai professionisti HR di aziende di ogni settore e dimensione è, forse, “Il processo di selezione è sempre più difficile perché mancano persone qualificate”. Tuttavia, anziché puntare il dito sulla qualità dei candidati, chi si occupa di people management dovrebbe porsi una domanda più scomoda ma più incisiva: quanto è attrattiva la mia azienda agli occhi di chi sta cercando lavoro?
L’attrazione dei talenti, uno dei temi oggi più strategici, rappresenta un processo in costante evoluzione influenzato dai mutamenti continui del mondo del lavoro. E forse, più che di “attrazione” dovremmo parlare di “corteggiamento”, mettendo in luce la reciprocità della scelta (azienda-candidato). Un principio, quest’ultimo, centrale anche nel libro Saper Scegliere (Brambilla-Raguzzi), che propone un approccio alla selezione fondato tanto sulle esigenze aziendali quanto sulle aspirazioni del candidato.
A fronte del dualismo tra “il potere decisionale è tutto nelle mani del datore di lavoro” e “sono i talenti ad avere il coltello dalla parte del manico”, la verità sta nel mezzo: non un cacciatore e una preda ma due calamite che si attraggono. Compito dell’azienda è mettere il candidato nelle condizioni di esprimere apertamente non solo ciò che desidera ottenere ma anche ciò che è disposto a offrire.
Attrarre talenti: una questione strategica, non tattica
Lavorare sulla capacità attrattiva dell’azienda è attività ancora troppo sottovalutata, specialmente da quelle realtà che adottano un approccio reattivo alla selezione intervenendo solo a fronte di un posto vacante da “riempire” con urgenza. Una modalità puramente tattica invece che strategica, che spesso porta a soluzioni di compromesso schiudendo le porte al fallimento.
Una mentalità incentivata anche dai KPI scelti, che favoriscono decisioni affrettate anziché consapevoli andando a premiare la velocità dell’inserimento anziché il suo successo a lungo termine. In più, talvolta, il clima di urgenza persiste anche dopo l’assunzione: la nuova risorsa, inserita per colmare un vuoto momentaneo, quindi senza una reale progettualità, rischia di generare nel tempo disallineamento e frustrazione.
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