Cultura

clipping. – Dead Channel Sky

Dopo anni di silenzio discografico, i clipping. tornano con un album ambizioso, stratificato, che affonda le sue radici nel cyberpunk e riscrive le coordinate dell’hip hop contemporaneo. Ma non solo: è anche una riflessione politica, una distopia sonora che parla al nostro presente con inquietante lucidità.

credit: Daniel Topete

Fin dalle prime tracce è chiaro che l’album è progettato come un dispositivo narrativo complesso, ben più di quello che potrebbe apparire come semplice mixtape: è un disco fatto di riferimenti colti (a partire da “Neuromancer” di William Gibson, da cui è tratto il titolo dell’album), crossover sonori (dalla techno all’house, passando per pc music, synthwave e tanto altro), e un’estetica che prende il cyberpunk e lo piega in mille direzioni, senza mai perderne lo spirito. È una dedica esplicita a quel “presente alternativo” in cui l’hip hop e la fantascienza si nutrono a vicenda, in cui la paranoia digitale, l’alienazione urbana e il controllo algoritmico diventano materia poetica e politica.

Indimenticabile il claustrofobico horrorcore dei lavori precedenti del trio, come in “There Existed An Addiction to Blood” e “Visions of Bodies Being Burned”, che avevano delineato una traiettoria musicale tutt’altro che accomodante. “Dead Channel Sky” abbandona la violenza esplicita e il gore, ma non rinuncia all’oscurità: la trasforma. Qui l’orrore è sistemico, opaco, distribuito in glitch, delay, ritmi spezzati e ambienti sonori alieni. Il vero horror è il sistema capitalistico in cui ci troviamo a vivere, insomma. Il flow di Daveed Diggs scorre a manetta, in un’analisi fredda ma terribilmente potente, come un medico che diagnostica una malattia mortale. È proprio in questa distanza emotiva che il disco trova parte della sua potenza: l’alienazione non è solo descritta, è performata.

A incoronare questo senso di straniamento ci pensano William Hutson e Jonathan Snipes, maestri nel creare beat che sembrano architetture instabili: schegge elettroniche che prendono forma e si disfano, pulsazioni rave che diventano mantra digitali, rumori che suonano come programmi danneggiati. Ogni brano è un piccolo esperimento, un gioco di specchi tra passato e futuro, club e console, sci-fi e sottoproletariato urbano.

Al cuore di “Dead Channel Sky” c’è profonda tensione, c’è caos, la volontà di raccontare gli orrori di una società digitale dove la sorveglianza è normalizzata, dove le persone sono rese sempre più una merce e dove la tecnologia è sempre più strumento di controllo piuttosto che di liberazione. Come descritto in “Welcome Home Warrior”, ogni giorno ci viene venduta l’illusione di essere padroni del nostro destino, di avere uno spazio tutto nostro in questo vasto mondo grazie a internet – la realtà, però, è ben più oscura: nessuno degli spazi digitali che cerchiamo di occupare quotidianamente è nostro per davvero, poiché tutti sono controllati da forze capitalistiche che vogliono tenerci impegnati. Anzi: siamo tutti scarafaggi, come quello rappresentato nella copertina del disco. Diggs e Aesop Rock si chiedono, a questo punto, quale sia il senso dell’escapismo digitale, a cosa serva scappare da un orrore per poi finirne in un altro ancora più fittizio.

I clipping., insomma, mettono in scena un futuro che è già qui. E ci invitano, senza girarci troppo attorno, a guardarlo in faccia.

Non è un disco facile, e nemmeno vuole esserlo. È massimalista, denso, a tratti dispersivo. Ma in mezzo alla selva di citazioni, suoni fratturati e narrazioni oblique, emerge qualcosa di raro: un’opera capace di tenere insieme l’avanguardia e la rabbia, l’illusione di una vita decente e l’impossibilità di raggiungerla nelle condizioni attuali; perché dietro le luci al neon e i beat distorti, c’è una verità scomoda che ci riguarda tutti quanti.


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