Claudia Pandolfi e Teresa Manes, mamma di Andrea Spezzacatena: «Il bullismo è una piaga sociale, riguarda tutti. L’indifferenza al dolore alimenta il dolore stesso»
Questo articolo è pubblicato sul numero 44 di Vanity Fair in edicola fino al 29 ottobre 2024.
Claudia Pandolfi e Teresa Manes è come se si tenessero per mano per tutta la durata di questa intervista. Una, in punta di piedi, dentro il dolore immenso dell’altra. L’attrice interpreta Manes nel film Il ragazzo dai pantaloni rosa, atteso il 24 ottobre alla Festa del Cinema di Roma e dal 7 novembre al cinema. Il film è ispirato alla storia del ragazzo di 15 anni Andrea Spezzacatena che, vittima di bullismo e cyberbullismo, nel 2012 si è tolto la vita senza lasciare un biglietto. Il ragazzo dai pantaloni rosa era il nome della pagina Facebook in cui i bulli scrivevano insulti omofobi contro di lui e lo minacciavano. Rosa come il colore dei jeans, frutto di un lavaggio sbagliato, con cui Andrea era andato a scuola. Teresa Manes, sua madre, ha scoperto l’esistenza di quella pagina solo dopo la sua scomparsa, e negli ultimi 12 anni ha avuto un unico credo: «Mio figlio non c’è più. Ci sono io. Sono rimasta per ricordare a tutti che il bullismo uccide». Ha scritto due libri, ha fondato l’Associazione italiana prevenzione bullismo, ha seguito l’approvazione della prima legge contro il cyberbullismo nel 2017 e nel 2022 è stata nominata Cavaliere della Repubblica
dal presidente Sergio Mattarella. Secondo l’Osservatorio indifesa 2024 di Terre des Hommes, il 63 per cento dei ragazzi tra i 14 e i 26 anni ha subito atti di bullismo e il 19 per cento di cyberbullismo. Una settimana fa Leonardo, 15enne di Senigallia, si è ucciso con la pistola del papà, vigile urbano. Aveva riferito di avere subito gravi episodi di bullismo. «I giovani, oggi, sono sempre più disumani e noi dobbiamo fare da scudo alle fragilità dei più sensibili. L’hanno distrutto e voglio capire perché», ha detto il padre. Teresa Manes resta in silenzio per qualche secondo, poi ricomincia a parlare: «L’indifferenza al dolore alimenta il dolore stesso. E i bulli negano sempre, è un modo per allontanare l’orrore, per non sentire la responsabilità».
Pandolfi: «Il bullismo è una piaga sociale, riguarda tutti. Questo film lo farò vedere anche al più piccolo dei miei figli (Tito, 8 anni; il primogenito è Gabriele, 18, ndr), e dovrebbero vederlo anche i genitori, anzi andrebbe aggiunto al corso pre-parto. Bisognerebbe capire subito cosa può succedere. Raccontare la storia di Andrea è un dovere».
Manes: «Io il film ho finito di vederlo solo pochi giorni fa. Ho rispettato i miei tempi, interrompendo la visione più volte. Di solito non riguardo nemmeno le mie interviste. Ogni volta che parlo di Andrea si riapre una ferita profonda. In questo film, ne sono felice, c’è la luce che faceva parte del nostro rapporto, ma l’immagine che non cancellerò mai dalla mente è quando tu, Claudia, resti inerme davanti al computer. Sei da sola col tuo dolore grande, straziante. È stata dura rivedermi in te, ho pianto».
P: «Ti ho conosciuto in un’altra fase della tua vita, ma ho dovuto interpretare la Teresa del passato. Per riuscirci mi sono imposta di non provare empatia perché altrimenti avrei portato troppo dolore anche nei momenti in cui non c’era. Qualcuno ha scritto che per me è stato il film più difficile di sempre, ma non è vero. Lo è stata quella scena. Quando l’ho girata è come se fossi stata travolta da una valanga emotiva. Per un’attrice non è difficile piangere, ma ho attinto da una sofferenza indicibile. Il nostro, Teresa, è stato un incontro molto delicato, ma di grande effetto. Non sapevo come mi avresti accolto, quando ci siamo incontrate un paio di inverni fa nello studio della produzione. Ci siamo toccate poco mentre parlavamo, ma ci siamo subito sentite vicine. Quando abbiamo finito, ci siamo date un grande abbraccio».
M: «Anch’io ero tesa quando ti ho incontrato. Ti conoscevo come attrice, ma non sapevo se tra di noi si sarebbe creato il giusto feeling. Sono venuta sul set solo una volta, ma ne ho percepito immediatamente la grande cura e il rispetto».
P: «Ogni mattina durante il trucco ne parlavamo. Non di te e della tua famiglia, ma dell’importanza sociale dell’argomento. Ognuno di noi sentiva il bisogno di raccontare la propria esperienza con e contro il bullismo».
M: «Succede anche a me, ogni giorno. Appena le persone capiscono chi sono, mi rovesciano addosso il proprio vissuto. Il 4 novembre, Giornata internazionale contro la violenza, il bullismo e il cyberbullismo, proietteremo il film nelle scuole, sto ricevendo centinaia di richieste da tutta Italia. Il bullismo c’è sempre stato, in passato mancavano gli strumenti per contrastarlo e soprattutto per prevenirlo».
P: «In passato per essere bulli era necessario far parte di un piccolo branco. Adesso con i supporti tecnologici non è più così. Gli attacchi social hanno un’eco spaventosa e tu, vittima, finisci subito travolto da uno tsunami. Con la Rete quello che prima era uno scontro diretto è diventato qualcosa che ha la forza di centomila schiaffi».
M: «Il legislatore si è posto il problema solo nel 2017, il cyberbullismo è un reato nuovo. Era fondamentale che intervenisse lo Stato. L’arma principale secondo me resta la prevenzione, ma è fondamentale che quando accade non si riduca tutto a una pacca sulla spalla. I ragazzi devono rispondere delle loro azioni, e anche le loro famiglie».
P: «L’unica cosa da fare è educare bene i nostri figli. Io cerco di controllarli il più possibile e provo a dare il buon esempio, non accetto alcun tipo di atteggiamento violento nemmeno nel mio ambiente di lavoro. La scuola è il campo di battaglia, ma i ragazzi devi mandarli in classe armati dei giusti sentimenti, non certo di prepotenza».
M: «Anche la scuola può fare molto, si può lavorare sul gruppo, insegnare il rispetto nei confronti dell’altro, che poi di questo si tratta. Non bisogna solo alimentare la competitività».
P: «Hai usato una parola importante perché essere competitivi oggi ci porta a voler essere tutti estremamente performanti in modo isterico, si sente il bisogno di fare la guerra all’altro solo per emergere».
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