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Cinque domande sull’attacco alla casa di Netanyahu


Cinque domande sull'attacco alla casa di Netanyahu

L’attacco avvenuto questa mattina alla casa del premier israeliano Netanyahu non è andato a segno per pochissimo. . La domanda, al momento, è come è stato possibile che un drone raggiungesse la residenza privata di uno dei leader più potenti al mondo con tale facilità, e come quest’operazione ora possa mutare le sorti dei due conflitti che Tel Aviv sta combattendo dentro e fuori casa. Ecco alcuni punti chiave che fotografano l’attacco di questa mattina.

Perché adesso? La scelta del momento non è affatto casuale, e avviene nel contesto di un intensificarsi nelle ultime settimane della guerra fra Israele e gli Hezbollah libanesi. Non più tardi di ieri Hezbollah ha dichiarato di voler lanciare una nuova fase di combattimenti inviando più missili guidati e droni esplosivi verso Israele. Oggi la Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, ha dichiarato che la morte di Sinwar è stata una perdita dolorosa, ma ha sottolineato che Hamas è andata avanti nonostante l’uccisione di altri leader militanti palestinesi prima di lui: “Hamas è vivo e resterà vivo”, ha detto Khamenei.

Perché il sistema di intercettazione ha fallito? Partendo dal presupposto che nessun sistema è infallibile, quest’oggi i velivoli sono riusciti a superare le difese israeliane con volo a bassa quota sfruttando consuete e già testate rotte marittime. Come accaduto anche in passato, il sistema ha più volte dimostrato di non poter schivare tutti i colpi, soprattutto se il nemico utilizza un gran numero di colpi che “ubriacano” le difese di Tel Aviv. Inoltre, come ricorda il Corriere della Sera, questi attacchi servono a “testare gli equipaggiamenti” e “migliorarne le prestazioni”: sono, sostanzialmente, una cartina al tornasole per la fabbrica di armi di Hezbollah, ma anche per Hamas.

Quale il significato? L’effetto psicologico: questi attacchi, oltre a mirare all’incolumità del premier israeliano, hanno un preciso intento pisoclogico: seminare il terrore dell’insicurezza. Già questa mattina i residenti dell’area di Cesarea sono rimasti attoniti all’idea che le sirene non hanno risuonato. La strategia di base è indurre la popolazione a credere che gli attacchi non avranno nè tregua nè fine, e che nessun luogo sarà più sicuro, nonostante il potente sistema di intercettazione israeliano. E se non è al sicuro nemmeno l’abitazione del Primo Ministro, allora nessun luogo lo sarà mai più…

Accadrà ancora? Probabilmente, dobbiamo aspettarci sempre più attacchi di questo tipo: sebbene la potenza di fuoco di Hezbollah e Hamas non sia infinita, e le due organizzazioni sono uscite stremate dalla morte di leader del calibro di Hassan Nasrallah e Yayah Sinwar, ora i nemici di Israele sono certi possa aprirsi una finestra di opportunità per ammorbidire Israele, anche su sointa dei suoi alleati occidentali che invitalla alla de-esclation: non va dimenticato che mancano una manciata di giorni alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti.

Israele ha un problema con i droni? Episodi come quello di oggi dimostrano, ancora una volta, che ciò che vale per razzi e missili, non vale necessariamente per i droni che costituiscono la verà novità del warfare moderno.

Grazie al sostegno di Washington, Israele è riuscita a irrobustire il proprio schermo antimissile, tuttavia deve migliorare la protezione contro i nuovi velivoli, chiedendo soccorso alla scienza e all’industria di guerra. Non è da escludere che l’expertise e i dati necessari possano giungere proprio da Kiev, che da due anni fronteggia gli attacchi russi di questo tipo con forniture, tral’altro, che Teheran invia a Mosca.


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