Ci sono invisibili che sfuggono al mondo digitale. Non lasciarli indietro è una sfida urgente
di Giuseppe Pignataro*
Esistono invisibili tra di noi. Non hanno mantelli, né poteri straordinari; sono donne e uomini che camminano al nostro fianco senza lasciare traccia nei mondi digitali. Sono invisibili agli algoritmi che guidano sempre più la nostra società. Anna, per esempio, guarda silenziosa il messaggio sul suo smartphone: “La sua domanda è stata rifiutata”. Nessuna spiegazione, nessun volto umano a cui chiedere perché. Anna è diventata improvvisamente un’ombra numerica, scomparsa nel reticolo freddo dei dati.
La disuguaglianza algoritmica è oggi la nuova frontiera della discriminazione. È invisibile, quasi impercettibile, ma devastante nelle sue conseguenze. Come racconta Kazuo Ishiguro nel recente romanzo Klara e il Sole, abbiamo delegato agli algoritmi il ruolo di giudici silenziosi della nostra vita quotidiana. Affidiamo loro le decisioni più cruciali: chi merita un prestito bancario, chi ha diritto a cure sanitarie avanzate, chi può accedere ai sussidi pubblici. Tuttavia, questi giudici digitali non vedono persone, vedono soltanto numeri. Numeri che raccontano una storia parziale, incompleta, spesso ingiusta.
Prendiamo l’Olanda, 2013. Un algoritmo chiamato SyRI prometteva efficienza nella lotta alle frodi nel welfare. Invece, ha trasformato la vita di oltre 26 mila famiglie innocenti in un incubo burocratico. Una semplice doppia cittadinanza diventava una sentenza di colpevolezza, etichettando cittadini onesti come truffatori. Case vendute, famiglie spezzate, vite rovinate. Invisibili dietro un dato sbagliato, senza possibilità di difendersi, cancellati da un calcolo errato e crudele. Lo scandalo, chiamato toeslagenaffaire, ha scosso le coscienze fino a far cadere il governo nel 2021. Un monito potente su quanto possano essere pericolosi sistemi privi di empatia e trasparenza.
Oppure guardiamo agli Stati Uniti, dove un algoritmo utilizzato negli ospedali ha silenziosamente escluso migliaia di pazienti afroamericani dall’accesso a cure essenziali. Il motivo? Calcolava il bisogno sanitario basandosi sui costi sostenuti nel passato. Pazienti neri, storicamente trattati con minori risorse economiche, apparivano dunque meno bisognosi rispetto a pazienti bianchi meno malati. Un’invisibilità sistematica, un’invisibilità che uccide. La differenza tra i pazienti selezionati automaticamente e quelli che avrebbero dovuto ricevere assistenza urgente rivelava una frattura dolorosa, un divario che gridava al cielo giustizia.
Nel 2025, la risposta alla disuguaglianza algoritmica è diventata una sfida filosofica ed etica urgente. Governi e istituzioni internazionali hanno iniziato ad adottare metodi innovativi di analisi degli algoritmi. Tecniche avanzate come l’explainable AI hanno permesso di decifrare e rendere trasparente il funzionamento delle decisioni automatizzate. Questo processo di “visibilità algoritmica” non si limita alla semplice correzione tecnica, ma abbraccia una nuova consapevolezza filosofica che rimette al centro l’essere umano nella sua complessità. I filosofi dell’etica digitale collaborano attivamente con tecnologi e legislatori per creare quadri normativi che obbligano le aziende a rivelare chiaramente come vengono prese decisioni cruciali in campi sensibili come il welfare, la sanità e il credito.
È una rivoluzione lenta, profonda e radicale. Nel welfare, per esempio, nuovi algoritmi vengono progettati con indicatori di vulnerabilità umana e non solo economica, comprendendo finalmente variabili fino a ieri invisibili: il contesto sociale, la stabilità emotiva, le storie personali. La giustizia sociale, così, diventa un parametro misurabile ed essenziale. La strada verso la piena equità resta impervia, ma oggi è chiaro che l’algoritmo può essere una leva potente per il bene comune, se guidato da principi morali forti e condivisi. È una visione affascinante e concreta: l’intelligenza artificiale che non cancella più l’individuo, ma ne amplifica la dignità, rivelando finalmente gli invisibili e restituendo loro quel volto umano che nessun calcolo, da solo, potrà mai catturare.
*Professore Associato di Politica Economica – Università di Bologna
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