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Chiesa, viaggio nella crisi dell’attaccante senza ruolo, senza gol e con il futuro in bilico

TORINO – “Chiesa è il nostro Sinner”, aveva detto a novembre il ct Spalletti, mai più immaginando che stava invece battezzando un giocatore in crisi fisica e di identità (quae delle due è all’origine dell’altra?), che ostenta pallore e corre dietro al pallone con l’affanno preoccupato di chi sa di avere altissime possibilità di sbagliare la giocata, perché così sta succedendo.

Due due gol in 21 giornate

I numeri dicono che Chiesa, dopo i quattro gol nelle prime cinque giornate, ne ha segnati due nelle successive ventuno. Non gioca una partita intera dal 15 dicembre e nelle ultime sei è partito titolare solamente due volte. Questa è l’aritmetica della crisi, nella sua lampante ed elementare semplicità. Ma poi ci sono una filosofia, una psicologia e una fisiologia all’origine delle difficoltà di Chiesa che poi, a dirla tutta, è dai lampi dell’estate 2021, quella di Euro 2020, che non è più lui: a ventisei anni suonati è un giocatore che non ha ancora un ruolo preciso, una dimensione definita, un valore certo. L’infortunio del 9 gennaio 2022 gli ha spezzato a metà una carriera che però già prima stentava a decollare e procedeva tra alti e bassi, tra il campo e la panchina, tra una posizione in campo e l’altra, con qualche abbagliante sprazzo di classe a intercalare lunghe ricerche di sé.

Un attaccante a testa bassa

Restano due costanti: è un attaccante (così lo ritiene Allegri) che non ha mai segnato più di dieci gol a campionato (in serie A sono 44 in 223 partite) e che non si è ancora tolto il vizio di giocare a testa bassa e solo con sé stesso. Non per egoismo, ma perché abbassare lo sguardo e attaccare dritto per dritto rimane la scelta tecnica che opera il più delle volte, e che ormai i difensori hanno imparato a conoscere. Se poi il fisico non lo supporta, e il morale nemmeno, i suoi brucianti scatti palla al piede si intiepidiscono e il suo gioco non ha più nulla di rovente.

La difficile ripresa dopo l’infortunio di due anni fa

L’infortunio, si diceva, è la linea di demarcazione. La ripresa dopo l’operazione al crociato anteriore del ginocchio sinistro è stata laboriosa, come se qualcosa in quell’intervento non fosse filato liscio. Ha rimesso piede in campo nei tempi, dopo dieci mesi, ma gliene sono serviti altri sei per ritrovare una forma decente. Questa stagione l’aveva cominciata in maniera brillante, sembrava che la coppia con Vlahovic potesse fare faville, lui si era inizialmente entusiasmato (“Questo è il calcio moderno!”) ma poi Allegri ha rivisto in maniera più prudente l’assetto della squadra e gli entusiasmi sono svaporati, assieme ai gol. E sono cominciati gli acciacchi.

I dolori al ginocchio che preoccupano Allegri e Spalletti

Chiesa ha ciclicamente dolorini al ginocchio operato. A volte è venuto il dubbio, seminato da certe mezze parole sia di Spalletti sia di Allegri, che lui ne fosse condizionato a livello psicologico, fermandosi al primo accenno di dolore per paura di una ricaduta. Poi Allegri ha voluto chiarire: “Per il suo modo di giocare, basato sugli scatti, il ginocchio è più sollecitato”.

La concorrenza di Yildiz

Fatto sta che per Chiesa è cominciata un’alternanza tra campo e infermeria che lo ha sostanzialmente trattenuto in un limbo, mentre nel frattempo l’affermazione di Yildiz gli ha messo in casa un concorrente che non credeva di avere. Tra dicembre e gennaio, con il giovane turco titolare, la Juventus ha giocato le sue partite migliori, anche da un punto di vista meramente estetico: Federico le ha viste perlopiù da fuori, rientrando quando poi la squadra è entrata in crisi. Il suo morale ne ha risentito, eccome.

Chiesa lascia il campo dopo la sostituzione

Chiesa lascia il campo dopo la sostituzione (afp)

Le ombre del rapporto con Allegri

Sullo sfondo di tutto questo cala l’ombra lunga del rapporto con Allegri, che non è mai decollato. Anche prima dell’infortunio Max aveva delle perplessità tecniche su Chiesa, per altro giustificate dalle prestazioni del giocatore e dalla sua irresolutezza: pure prima di farsi male non era chiaro quale fosse davvero il suo ruolo e anche in quell’Europeo fu un po’ titolare e un po’ no, vivendo di lampi e di sprazzi. In una squadra di club serve però una continuità che non ha mai avuto e ognuno potrà scegliere se la colpa è di Allegri che non lo valorizza al meglio o di Chiesa che non mantiene le aspettative. Di sicuro, la fiducia reciproca non è mai decollata mentre per esempio con Vlahovic è andata diversamente.

La trattativa sul contratto in fase di stallo

Nel frattempo gli anni sono passati e Chiesa si è avvicinato alla fine del contratto, che scadrà il 30 giugno 2025. Le trattative per il rinnovo sono in fase di stallo. Domenica scorsa allo Stadium c’era il procuratore dell’azzurro, Fali Ramadani, ma non risulta che ci siano stati incontri la società. Chiesa guadagna 5 milioni a stagione e per firmare un nuovo contratto ha chiesto un aumento considerevole, anche riferendosi ai 12 milioni che andrà a percepire Vlahovic, mentre la società ragiona su cifre sensibilmente inferiori, anche perché il rendimento non suffraga le pretese dell’attaccante. Però la Juve rischia di tenersi in casa un giocatore prossimo allo svincolo e al tempo stesso difficile da vendere a un prezzo interessante nell’estate che viene: se prima il club bianconero pensava di poter incassare fino a 60 milioni, a un anno dalla scadenza e dopo due stagioni negative la quotazione è precipitata, a maggior ragione in questi tempi cui praticamente tutte le big investono soltanto su under 25, o ancora meglio su under 23.

A Chiesa serve il 4-3-3

Molto dipenderà dal futuro tattico della Juve, dalla conferma o meno dell’allenatore, dal modulo che si deciderà di adottare nella prossima stagione: è chiaro che con il 3-5-2 Chiesa c’azzecca poco, anche se Allegri lo considera una punta a tutti gli effetti, e che il 4-3-3 sarebbe uno sbocco naturale. In effetti, i bianconeri stanno provando a prendere lo svincolato Anderson e l’estate scorsa avevano cercato Berardi: gente da tridente, come lo è Chiesa e come lo sarebbe Soulé, il talento più fulgido emerso dall’Under 23. Non è però un modulo adatto a Yildiz, il giovane al quale la Juve ha deciso di ancorare il futuro, un numero 10 a tutti gli effetti: i nodi da sciogliere non sono pochi. E intanto Chiesa, gioca con il nervoso addosso e non dribbla più nessuno, quale che sia il modulo che è chiamato a interpretare.


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