Chi protegge chi? Uno Stato che non tutela né i cittadini né le persone fragili
Da qualche settimana ormai, nel quartiere di Villa Gordiani, a Roma, si sono susseguite delle aggressioni da parte di una donna, sulla quarantina, in evidente stato di alterazione psicologica.
La donna aggredisce altre donne, spesso alle spalle, chiamandole con nomi che non rispecchiano la realtà e a volte armata di cacciavite o coltello.
Il passaparola ha fatto sì che la voce arrivasse a quasi tutti gli abitanti del quartiere, i quali hanno vissuto giorni di paura paralizzante data la poca sicurezza delle strade anche in pieno giorno e, soprattutto, l’inefficacia delle denunce sporte nei confronti della donna.
In realtà pare che la donna sia da tempo conosciuta da chi abita nel suo stesso palazzo, da tempo infatti si è fatta riconoscere per le urla e gli insulti lanciati per strada, fino ad arrivare a mettere in atto queste azioni violente nei confronti di passanti ignare e prese alla sprovvista.
Ma perché un comportamento simile?
La donna si trova in evidente stato alterato, tra gli abitanti del quartiere si vocifera abbia una storia da tossicodipendente. Tuttavia nonostante questo non sia accertato, è evidente che la donna non sia presente a sé stessa mentre mette in atto questi agiti violenti.
Chiamando le sue vittime con nomi di fantasia o di donne appartenenti al suo passato, dimostra una perdita importante di contatto con la realtà e una scarsa consapevolezza degli agiti messi in atto.
Le aggressioni infatti non sembrano finalizzate ad ottenere un tornaconto personale (ad esempio per rapinare le vittime o per una regolazione di conti) ma piuttosto azioni messe in atto da una donna che, seppur difficile da ammettere, ha un forte bisogno di aiuto poiché completamente assente a sé stessa.
Questa donna è vittima della propria malattia mentale. Malattia mentale che non sempre si traduce in violenza e pericolosità sociale, ma che in questo caso necessiterebbe di un intervento di cura e prevenzione da parte delle istituzioni.
Casi come questo sono esplicativi di come il sistema dovrebbe farsi carico della prevenzione, non solo della gestione dell’emergenza.
Gestione dell’emergenza che in questi casi si traduce in un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) che non sempre può essere messo in atto e che, se messo in atto, non rappresenta una soluzione ma solo una circoscrizione momentanea del problema.
Ma cosa dovrebbero fare le istituzioni?
In casi come questo, sarebbe auspicabile un sistema di presa in carico strutturato e continuativo, che non si limiti all’intervento d’emergenza ma che garantisca un percorso di cura integrato.
Questo può avvenire solo attraverso una collaborazione reale e costante tra servizi territoriali, strutture di accoglienza e professionisti del settore, ma perché ciò avvenga sarebbe anche necessaria la presenza di fondi adeguati stanziata a tutela non solo della pubblica sicurezza ma soprattutto della salute mentale di queste persone emarginate.
In questo modo si formerebbe una rete di intervento capillare, pronta ad individuare e accompagnare in un percorso riabilitativo persone fragili, prima che la loro sofferenza psicologica si trasformi in un rischio per sé o per gli altri.
Ebbene sì, perché in modo emergenziale questa vicenda rende anche noi vittime, abitanti di un quartiere abbandonati nella paura del diverso e di ciò che non siamo in grado di comprendere fino in fondo; lasciati soli da istituzioni e dalle forze dell’ordine, le quali possono intervenire solo se sollecitate, nel pieno delle aggressioni messe in atto.
È così che, proprio nel mese dedicato alla salute mentale, nel quartiere di Villa Gordiani, a Roma, lo stigma riguardo i disturbi psichiatrici non fa altro che rafforzarsi, mentre emerge tutta la debolezza delle istituzioni di fronte ad esso.
Cosa possiamo fare noi, quindi?
Il caso ha suscitato un discreto interesse da parte dei media, è proprio grazie a questo mezzo che potremmo far sentire la nostra voce, indirizzata non contro una donna in condizione di fragilità, ma nei confronti di uno Stato che non tutela, a nessun livello, la salute psicologica dei propri cittadini, né la loro sicurezza.
Episodi come questo ci aiutano a riflettere sull’importanza di una maggior considerazione della salute mentale, come atto di tutela personale e sociale.
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