Lazio

Chi parla, sparisce. Chi non paga, viene punito. Gli affari sporchi della mala d’Oriente a Roma e in Italia

Nelle scorse settimane, l’Italia ha assistito a una delle più imponenti operazioni contro la criminalità straniera mai coordinate dalla Polizia di Stato. Un colpo chirurgico al cuore delle attività illecite gestite da gruppi criminali cinesi radicati in tutto il Paese.

L’operazione – diretta dal Servizio Centrale Operativo (SCO) – ha toccato 26 province, coinvolgendo centinaia di uomini e donne delle Squadre Mobili in un’azione simultanea che ha fruttato 13 arresti, 31 denunce, quasi 2.000 identificazioni e 305 esercizi commerciali passati al setaccio.

Dietro negozi di abbigliamento, centri massaggi, bar e ristoranti, si nascondeva un mondo parallelo. Un sottobosco silenzioso ma operoso, fatto di prostituzione, traffico di droga, lavoro nero, armi e trasferimenti illegali di denaro. Un ecosistema criminale chiuso, strutturato, difficile da penetrare, eppure ben presente da anni nel tessuto economico delle nostre città.

Le mani invisibili della mafia cinese

I numeri parlano chiaro, ma il vero colpo d’occhio lo dà la mappa dei clan. Gruppi criminali compatti, omertosi, spesso familiari, accomunati dalla provenienza dalla stessa regione della Cina, dalla stessa città, persino dallo stesso villaggio. Si muovono come reti parallele, autonome ma in contatto, ben distribuite nelle zone dove maggiore è la presenza della comunità cinese: Toscana, Emilia-Romagna, Veneto e Lazio, in testa.

Le loro attività sono in gran parte rivolte contro connazionali: prostituzione forzata, estorsioni, “pizzi” mascherati da prestiti, sfruttamento lavorativo nelle aziende tessili e nei laboratori clandestini. Chi parla, sparisce. Chi non paga, viene punito. La logica è quella del clan. Il vincolo, la vendetta, l’intimidazione. Proprio come nelle mafie storiche italiane.

Soldi in volo e droga sintetica: i business del crimine

Tra le attività criminali più sofisticate spicca il sistema hawala: una sorta di “banca fantasma” senza conti né documenti, che permette di trasferire soldi da un continente all’altro in totale segretezza. Un metodo antico, ma perfetto per i tempi moderni e ideale per riciclare milioni di euro in contanti provenienti da traffici illeciti. È così che il denaro dei laboratori clandestini in Italia finisce nelle mani delle triadi a Shanghai o Guangzhou.

Altro mercato fiorente: lo shaboo, una potentissima metanfetamina cristallina molto usata nella comunità asiatica, ma sempre più diffusa anche tra i giovanissimi italiani. Nel corso dell’operazione ne sono stati sequestrati oltre 550 grammi (più di 5.000 dosi), solo nella provincia di Roma.

Roma sotto la lente: controlli a tappeto e blitz nei locali

Nella Capitale, cuore pulsante dei flussi migratori e crocevia del crimine multietnico, l’operazione ha toccato in profondità le zone a più alta concentrazione cinese. La Squadra Mobile ha effettuato:

2 arresti

2 denunce a piede libero

9 perquisizioni domiciliari e locali

75 attività commerciali ispezionate

15 sanzioni amministrative per un totale di oltre 18.000 euro

Le zone coinvolte? Soprattutto quelle a ridosso della Casilina, Prenestina, via Tuscolana e del Pigneto. Quartieri dove la comunità cinese si è radicata nel tempo, portando con sé anche, in alcuni casi, modelli criminali importati dalla madrepatria.

Una guerra silenziosa, ma costante

L’intervento – parte del più ampio programma “Squadra Mobile” lanciato dallo SCO nel 2023 – non è isolato. Rientra in una strategia più ampia che mira a colpire devianza giovanile, caporalato, prostituzione, gioco d’azzardo, furti e truffe legate all’immigrazione clandestina. Un’azione di intelligence e repressione che si muove in profondità, non solo in superficie.

Perché la criminalità cinese in Italia non spara in piazza. Non sfida lo Stato a viso aperto. Ma lavora nell’ombra, con precisione chirurgica. Con conti cifrati, giri di denaro invisibili, violenze nascoste tra le mura dei palazzi o dietro le tende dei centri massaggi.

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