chi lo fa potrebbe restare disgustato dalla carne, dice uno studio
Smettere di mangiare carne per provare disgusto o provare disgusto perché si è scelto di smettere di mangiarla? Questo è il problema.
Gennaio è da tempo il mese delle sfide; una delle più popolari negli ultimi anni è sicuramente il veganuary, la challenge che accetta chi decide di eliminare carne e prodotti di origine animale dalla propria dieta per 31 giorni. Ci siamo imbattuti in uno studio che esamina un aspetto interessante che si sviluppa nelle persone coinvolte nel veganuary: il disgusto verso la carne. Sembrerebbe che le e i partecipanti alla sfida siano più inclini a sviluppare questa sgradevole sensazione dopo la “prova” di inizio anno. Il team di ricerca lo definisce, simpaticamente, un “problema del tipo uovo e gallina”. In altre parole: è il fatto stesso di non mangiare carne che conduce a provare repulsione o è il nostro desiderio di volerne ridurre/eliminare il consumo che ci porta a rifiutarne l’idea e il gusto dell’alimento?
Lo studio
Lo studio non è recentissimo (2022), ma è molto attuale e prende in esame i fattori legati all’assunzione di carne e al disgusto verso la stessa da parte di 40 partecipanti che hanno accettato di prendere parte al veganuary. Il disgusto verso la carne è stato esaminato in vari modi, tra cui anche metodi impliciti per evitare di generare preconcetti e di influenzare i partecipanti.
Osservando i dati, la conclusione generale è che dopo aver evitato di assumere carne per un mese, i livelli di disgusto verso questa categoria di cibo nei partecipanti sono aumentati. I motivi restano da approfondire, ma le ipotesi sul piatto non mancano. Una su tutte è la “preparazione psicologica” al disgusto: chi ha partecipato allo studio era già predisposto ad accettare la sfida del veganuary e quindi spinto (per qualunque motivo) verso quella direzione.
La forza dell’abitudine
Manca effettivamente poco più di una settimana al nuovo anno e, per chi vorrà parteciparvi, al veganuary. Sappiamo che smettere di mangiare carne e/o prodotti animali, o quantomeno ridurne il consumo, è una vera e propria necessità ambientale, salutare ed etica, per chi fosse concorde anche con quest’ultima visione (ce n’è altre possibili?). Ma sappiamo anche quanto possa essere difficile passare dalla teoria alla pratica, in altre parole dal desiderio di trovare i nutrienti di cui abbiamo bisogno in fonti che non implicano crudeltà all’effettiva rinuncia al ragù della nonna (che poi avete mai provato il ragù di soia?).
Uno degli aspetti suggeriti dallo studio e provati sulle mie papille gustative, è che è più facile fare una transizione verso un certo tipo di dieta per abitudine, piuttosto che per principio. È insito nello stesso paradosso della carne: amiamo gli animali (non tutti, purtroppo), ma accettiamo di mangiarli – per convenzione sociale, perché crediamo siano indispensabili per stare bene o perché ci raccontiamo che sono cresciuti felici e in verdi pascoli. Per questo è molto più efficace passare direttamente ai fatti: “costringerci” per un breve periodo alla dieta che vorremmo adottare, per poi scoprire che il passaggio diventa molto più naturale.
Chi scrive ora questo pezzo sta per festeggiare un anno di alimentazione senza carne (non vegana, ma si fa quel che si può), un percorso iniziato proprio con il veganuary (più un vegetanuary, nel mio caso) e proseguito con naturalezza oltre i confini di gennaio per il resto dell’anno. Certo, la motivazione alla base fa la differenza; se la causa ambientale, salutare ed etica non vi tocca (può non toccarvi?), probabilmente non starete neanche leggendo questo pezzo. Ma se siete arrivati fin qui, forse è il caso di dare una chance a ‘sta challenge. Provare per credere.
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