Friuli Venezia Giulia

Chi guiderà Trieste? L’eterna partita tra coalizioni senza leader

02.12.2025 – 11.00 – Ieri al Circolo della Stampa il centrosinistra triestino ha sancito la propria unità. Pd, Punto Franco, Adesso Trieste, Movimento 5 Stelle e una sfilza di altre sigle si sono date il nome solenne di “Futuro in Comune”. L’effetto scenico era impeccabile: tavolo lungo, microfoni, sorrisi, e l’impressione di un esercito compatto pronto alla battaglia. Peccato che l’esercito non abbia un generale. Nessun candidato sindaco, nessun volto a cui affidare la città. Una coalizione senza capitano: esattamente il modo migliore per far ridere gli avversari. Il centrodestra, al contrario, si trova davanti a problemi concreti. Roberto Dipiazza non può ricandidarsi: due mandati consecutivi, legge chiara, niente scorciatoie. Annuncerà la sua candidatura come consigliere comunale, lasciando il campo libero a nuovi protagonisti. E qui si inserisce Idea Giuliana, nata da fuoriusciti dalla lista Dipiazza, civica moderata ma ambiziosa, con un occhio alla continuità e l’altro al rinnovamento. L’unità del centrodestra non è garantita: due civiche in campo possono significare un voto spaccato e terreno pronto per il centrosinistra.

Il candidato ideale del centrodestra dovrebbe avere il coraggio di incarnare sia il passato sia il futuro. Civico, moderato, pragmatico: capace di raccogliere i voti di Dipiazza senza farsi soffocare dall’ombra dell’ex sindaco, di attrarre moderati e di tenere insieme le diverse anime delle civiche. Un equilibrio delicato, perché troppo tradizionalista rischia di sembrare vecchio, troppo innovativo di alienare i voti storici. La partita si gioca su chi saprà governare la propria coalizione più che la città, e questo è già un campanello d’allarme. Dall’altra parte, il centrosinistra spera di vincere con un volto civico di sintesi. Qualcuno che sia progressista ma non radicale, ambientalista ma pragmatico, giovane ma capace di gestire la complessità amministrativa. In teoria. Nella pratica, la ricerca continua, e ogni giorno che passa senza un nome definito aumenta il rischio di arrivare alle urne con un esercito di sigle e programmi, ma senza un volto in grado di mobilitare l’elettorato.

Ecco il paradosso: la coalizione più numerosa, organizzata e pronta a parlare di programmi non ha ancora trovato il coraggio di scegliere chi si prenderà la responsabilità di governare. Il centrodestra, pur frammentato, ha almeno la certezza di dover trovare un candidato che possa raccogliere il testimone di Dipiazza e guidare la città. Ma il rischio di spaccature interne è concreto: più civiche, più ambizioni personali, più conflitti. Trieste osserva e non perdona. Non basta annunciare alleanze, scrivere comunicati o sventolare manifesti. La città premia chi prende decisioni, chi mette la faccia, chi sa incarnare l’equilibrio tra continuità e cambiamento. Chi resta nell’attesa, nel rebus dei nomi o nella costruzione interminabile di coalizioni rischia di consegnare la vittoria agli altri.

Il centrosinistra rischia di arrivare all’appuntamento elettorale con un esercito senza generale; il centrodestra rischia di frammentarsi tra civiche e ambizioni personali. La posta in gioco è alta: vota chi ha il coraggio, chi decide, chi sa leggere la città. E Trieste, come sempre, non perdona chi si nasconde dietro i programmi e i proclami.

Il centrodestra non deve soltanto trovare un candidato, ma navigare in un mare di equilibri delicatissimi, dove ogni onda rischia di capovolgere la barca. Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega avanzano con passo calcolato, ciascuno con la propria ambizione, ciascuno pronto a far pesare il proprio peso nella scelta del futuro sindaco. Ma la città non è un’isola: ogni decisione locale si intreccia con le elezioni regionali e provinciali, e con le strategie nazionali dei partiti. Chi siederà sulla poltrona di primo cittadino non riceve solo il timone della città, ma diventa un segnale politico per Roma e per Trieste stessa: un premio, una testimonianza di forza, o al contrario un campanello d’allarme per chi non sa negoziare. La partita è fatta di sottili compromessi tra civiche e partiti storici, tra continuità e rinnovamento, tra consensi consolidati e nuove ambizioni.

Lo spettro del 2011 torna inquietante aleggiare. Allora, come oggi, la tentazione di correre divisi con più candidati sindaco – la scusante ufficiale sarebbe “marciare divisi per colpire compatti” – si scontra con una realtà elettorale meno indulgente. La nuova legge prevede che per vincere al primo turno non serva più la maggioranza assoluta, ma solo il 40% dei voti: una soglia più bassa, sì, ma che riduce drasticamente il margine di manovra per coalizioni frammentate. Così, la strategia di disperdere le candidature rischia di trasformarsi da arma tattica in trappola: ogni voto diviso tra civiche e partiti nazionali può essere fatale, consegnando di fatto il campo al centrosinistra, anche senza una campagna eccezionale. Il rischio è chiaro: correre da soli o in piccoli gruppi può sembrare tattica, ma in realtà espone a un assedio implacabile della legge elettorale, dove la frammentazione è punita senza pietà. Ogni mossa è osservata, pesata e annotata: a Trieste, come sempre, chi sbaglia il passo paga caro. In questa complessa danza, il vero candidato non è solo chi sa parlare alla città, ma chi sa tenere insieme i pezzi sparsi del suo stesso campo, senza lasciarli cadere uno a uno.

[f.v.]




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