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ChatGPT, il caso delle conversazioni private finite su Google: l’archivio digitale conserva tutto. Tra i casi anche studenti che utilizzavano IA per copiare tesi e compiti

Migliaia di conversazioni private con ChatGPT sono finite indicizzate sui motori di ricerca, sollevando interrogativi sulla privacy digitale e sulla gestione dei dati degli utenti.

La funzione di condivisione e l’intervento di OpenAI

Il fenomeno ha avuto origine da una specifica funzionalità offerta dalla piattaforma: gli utenti potevano condividere volontariamente le proprie conversazioni tramite link pubblici, dopo aver espresso il proprio consenso esplicito. Tuttavia, come segnala il Corriere della Sera, l’opzione ha portato all’indicizzazione automatica di migliaia di chat sui risultati di Google, rendendo accessibili contenuti potenzialmente sensibili.

L’azienda di San Francisco ha quindi disattivato la funzionalità e rimosso gran parte delle conversazioni dai risultati di Google, nel tentativo di arginare la situazione.

L’archivio permanente di Archive.org

Nonostante gli sforzi di rimozione, il problema rimane irrisolto. Un’indagine condotta dalla newsletter Digital Digging ha rivelato che oltre 110.000 conversazioni con ChatGPT restano accessibili attraverso la Wayback Machine di Archive.org. Lo strumento, definito una “capsula del tempo digitale”, conserva versioni storiche dei contenuti web anche dopo la loro cancellazione originale.

Mark Graham, direttore della Wayback Machine, ha confermato che la sua organizzazione non ha ricevuto richieste su larga scala da OpenAI per l’esclusione di questi contenuti. Ciò significa che chiunque conosca i link specifici può ancora accedere alle conversazioni complete, evidenziando come le informazioni digitali mantengano una traccia permanente nel web.

Contenuti sensibili e casi controversi

Tra le conversazioni archiviate emergono situazioni particolarmente delicate. Alcuni esempi includono numerosi casi di frode scolastica o universitaria, con studenti che utilizzavano l’intelligenza artificiale per redigere intere sezioni di tesi o articoli, vantandosi successivamente dei risultati ottenuti. OpenAI, contattata per un commento, non ha rilasciato dichiarazioni pubbliche sulla questione.

Il controllo delle conversazioni condivise

Gli utenti che hanno condiviso pubblicamente i propri dialoghi con il chatbot mantengono la possibilità di gestire questi contenuti attraverso un percorso specifico nelle impostazioni della piattaforma. Accedendo al proprio profilo ChatGPT, nella sezione “Controllo dei dati”, è disponibile l’opzione “Gestisci” accanto alla voce “Link condivisi”. Quest’area raccoglie tutte le conversazioni rese pubbliche tramite il pulsante di condivisione, offrendo agli utenti una panoramica completa dei contenuti esposti online.

Da questa interfaccia, gli utenti possono eliminare selettivamente qualsiasi conversazione che non desiderano mantenere accessibile pubblicamente. L’operazione risulta particolarmente importante per quegli studenti che hanno inconsapevolmente lasciato prove digitali delle proprie pratiche di copiatura attraverso l’intelligenza artificiale, esponendosi a potenziali sanzioni disciplinari da parte delle istituzioni scolastiche.

La rimozione dai motori di ricerca

Per i contenuti già indicizzati da Google, la procedura di cancellazione richiede un intervento aggiuntivo. Google mette a disposizione uno strumento ufficiale per la rimozione di contenuti obsoleti, accessibile tramite il portale “Search Console”. Utilizzando l’indirizzo https://search.google.com/search-console/remove-outdated-content, gli utenti possono richiedere la deindicizzazione delle proprie conversazioni ChatGPT dai risultati di ricerca.

Tuttavia, come evidenziato dal caso della Wayback Machine di Archive.org, la cancellazione completa delle informazioni dal web rimane un obiettivo difficile da raggiungere.


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