Chaos In The CBD – A Deeper Life: Come house music suonata in spiagga, al tromonto :: Le Recensioni di OndaRock
Chaos In The CBD è il moniker dei fratelli Ben e Luis Helliker-Hales, due globetrotter che, fin dai primi anni Dieci, disseminano vinili e macinano dj-set in ogni angolo del pianeta. Il loro approccio è limpido: fondere la sensualità della deep-house con la ricchezza del suono organico. Poco interessati al retaggio anni Novanta, fatto di campionatori e processi di sintesi, i due neozelandesi preferiscono un immaginario nu-jazz radioso (“Ōtaki”), fatto di percussioni leggere e ottoni soffiati (“Love Language”), scolpito da chi ha fatto dell’equilibrio tra introspezione ed euforia il proprio dogma.
È evidente la fascinazione verso sonorità che non nascono unicamente da drum-machine e moduli digitali: una ricerca di calore umano che i due portano avanti dagli esordi, ma che solo oggi trova compimento in un long-playing. In quindici anni di attività, avevano preferito il formato più agile del 12”, affiancato da una moltitudine di mix per le piattaforme più acclamate: da Resident Advisor a XLR8R, fino alla Boiler Room e oltre.
Le quattordici tracce di “A Deeper Life” disegnano un percorso che cresce lentamente in velocità, ma che soprattutto danza tra languori downtempo e brezze baleariche: intimità sì, ma sorseggiando un drink ghiacciato sotto cieli turchesi. Meglio precisare: il cuore resta ritmico e profondamente house, ma forgiato su un design sonoro estivo e tropicale. Il full-length si muove tra echi di synth-funk, voci r&b (“Tears”, tra le tante collaborazioni) e la tensione costante verso un mood passionale e contemplativo, più da loft al tramonto che da rave.
I due fratelli raccontano sé stessi attraverso le loro influenze: dal soul al jazz, dalla bossa nova (“I Wanna Somebody”) al lounge anni Ottanta (“Brain Gynmnasium”), senza dimenticare la club-culture che li ha consacrati. Basti pensare a “Barefoot On The Tarmac”, perfetta fusione tra l’ascetismo ambient-house anni Novanta e il breakbeat di “Hydrate”, Ep pubblicato nel 2019.
Insomma, gli esperimenti sintetici non mancano. Ma se la sensazione è quella di trovarsi davanti a una band in carne e ossa, è perché ci riescono bene. L’album scorre con naturalezza, seguendo una curva ritmica leggera e avvolgente. Forse, a voler cercare il pelo nell’uovo, qualche taglio avrebbe giovato: quattordici brani sono tanti, e pur senza veri momenti sottotono, una lieve asciugatura avrebbe giovato all’equilibrio complessivo. Ma bando alle ciance: l’estate è alle porte e poche colonne sonore sembrano più adatte di questa per spalancarle il sipario.
12/06/2025