Censurare l’educazione sessuale a scuola non è neutralità, ma una scelta con conseguenze concrete
di Marta Giuliani*
Con il nuovo ddl “Disposizioni in materia di consenso informato in ambito scolastico”, presentato dal ministro Giuseppe Valditara, un intero settore educativo rischia di essere cancellato per legge.
Un testo apparentemente innocuo, che parla di “rafforzare la corresponsabilità educativa tra scuola e famiglia”, ma che — nelle sue pieghe — introduce vincoli mai visti su un tema cruciale: l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole italiane. Mai, in passato, la scuola aveva conosciuto un’attenzione legislativa tanto specifica per una materia extracurricOlare.
L’articolo 1 del disegno di legge stabilisce che le scuole siano tenute a chiedere il consenso informato preventivo dei genitori per ogni attività legata a temi “attinenti alla sessualità”. Fin qui nulla di nuovo: la normativa vigente già prevede la condivisione dei progetti formativi con le famiglie. La novità sta altrove: la scuola dovrebbe fornire in anticipo ai genitori “tutto il materiale didattico” che verrà utilizzato e ottenere il loro consenso formale prima di poter affrontare l’argomento in classe. Una prassi che, se applicata letteralmente, rischierebbe di paralizzare ogni intervento educativo su questi temi, imponendo un controllo preventivo che non esiste per nessun’altra disciplina o progetto scolastico.
Ma c’è di più. Il comma 4 del medesimo articolo vieta esplicitamente qualsiasi attività didattica o progettuale sulla sessualità nelle scuole dell’infanzia e primarie. E, con un emendamento presentato il 18 settembre 2025 dall’onorevole Giorgia Latini, il divieto è stato esteso anche per la scuola secondaria di primo grado. Risultato: di educazione sessuale e affettiva si potrà parlare soltanto alle superiori, quando — secondo la letteratura scientifica — gran parte del percorso di costruzione dell’identità personale è già avvenuto.
Contro questo ddl si sono schierati nove Ordini regionali degli psicologi — Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Puglia, Sicilia e Veneto — che hanno diffuso un comunicato congiunto dal contenuto molto chiaro: “Limitare o escludere la possibilità di promuovere attività educative sui temi della sessuo-affettività significa privare le giovani generazioni di strumenti fondamentali per comprendere e gestire i cambiamenti fisici ed emotivi legati alla crescita”.
A parlare non è solo la nostra categoria professionale, ma la comunità scientifica internazionale e le istituzioni. L’Oms (2010), l’Unesco (2018) e il Parlamento Europeo (2022) riconoscono unanimemente che la sessualità è una dimensione relazionale, affettiva ed emozionale che evolve fin dai primi anni di vita. L’educazione sessuo-affettiva si occupa di accompagnare i bambini e i ragazzi nella comprensione di sé, delle proprie emozioni e dei rapporti con gli altri, in modo rispettoso e adeguato all’età. Gli studi dimostrano che intervenire precocemente favorisce lo sviluppo di relazioni sane, riduce il rischio di bullismo e violenza di genere, aiuta a riconoscere e gestire le emozioni e contribuisce alla prevenzione di comportamenti a rischio. Rinviare o censurare questi percorsi significa lasciare un vuoto educativo che sarà inevitabilmente riempito da Internet, dai social network e dalla pornografia online.
In Italia gli interventi sono episodici, frammentati e legati a bandi temporanei, senza una visione strutturale di prevenzione. Una condizione che riflette una visione settoriale della salute pubblica, dove si interviene solo a posteriori, quando i problemi — abuso, violenza, disagio psicologico — sono già esplosi. Eppure “la promozione del benessere psicologico e relazionale è una componente essenziale della tutela dei minori, tanto quanto la sicurezza fisica o sanitaria”.
Se approvato nella sua forma attuale il ddl potrebbe rappresentare una svolta restrittiva nel rapporto tra educazione e libertà di informazione. Non si può normare la paura. Ogni generazione ha il diritto — e il dovere — di aggiornare il proprio vocabolario affettivo. Bloccare l’educazione sessuo-affettiva significa negare ai giovani la possibilità di capire se stessi e gli altri, e spingerli a costruire relazioni sulla base di tabù, silenzi e fraintendimenti. Non affrontare il tema a scuola non è una neutralità: è una scelta, che ha conseguenze concrete sulla salute mentale, sull’autostima e sulla libertà individuale di milioni di ragazzi e ragazze.
*Consigliera Tesoriera Ordine degli Psicologi del Lazio, prima firmataria delle Linee Guida per l’Educazione Sessuo-Affettiva nelle Scuole Primarie e Secondarie
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