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c’è vita oltre il Trento DOC

Sono stato in Trentino e ho scoperto che non esiste solo il Trento DOC, pur essendo questo un vino che si lascia molto apprezzare (da Ferrari ad Altemasi). Questo incipit vuole essere ovviamente provocatorio, ma il suo obiettivo è invitare tutti noi – me in primis – ad allargare gli orizzonti e dare valori anche ai vini prodotti con altri vitigni autoctoni del Trentino. Perché bere e mangiare sempre le stesse cose?

Il Trentino, oltre a una lunga serie di paesaggi mozzafiato, avventure all’aria aperta ed esperienze gastronomiche, è infatti la casa di alcuni tra i vitigni autoctoni più rappresentativi del nord Italia. Dalla Schiava al Teroldego, passando per il Marzemino, fino alla Nosiola, i vitigni autoctoni sono una risorsa preziosa per la viticoltura trentina, poiché esprimono le caratteristiche uniche del suo territorio, contribuendo a delinearne l’identità e a preservarne l’integrità. Sono tutti a bacca rossa, tranne l’ultimo (la Nosiola, a bacca bianca).

I vitigni autoctoni del Trentino

Partiamo dalle basi: il vitigno autoctono indica quelle varietà di viti coltivate nel medesimo ambito territoriale di origine del vitigno stesso, che ne assumono così la tipicità e le caratteristiche. Detto altrimenti: si tratta di un vitigno non trapiantato, ma che ha origine proprio nel territorio di coltivazione. Il vitigno autoctono si distingue dal vitigno internazionale, che partendo da una nazione di origine, è stato invece sviluppato in altre parti del mondo. Vediamo nel dettaglio quelli del Trentino, uno per uno.

La Schiava

Zona Produzione Schiava Trentino

La Schiava è una varietà autoctona che viene coltivata in Trentino sin dal 1500. Il suo nome deriva dall’espressione latina “cum vineis sclavis”, che significa letteralmente “con viti schiavizzate”. Un termine che si riferisce alla particolare tecnica di coltivazione a filare utilizzata già nel Medioevo, considerata una vera e propria rivoluzione per l’epoca: le viti venivano legate a un supporto fisso, permettendo al viticoltore di controllarne la crescita, in contrasto con le viti selvatiche che si sviluppavano liberamente. Questa tecnica segnava una svolta nel modo di prendersi cura delle piante, dando vita a una viticoltura più ordinata e produttiva. La Schiava ha profondamente segnato la storia enologica del territorio, rimanendo il vitigno più coltivato fino anni ’80, e ha contribuito alla continua pratica della vinificazione in rosso.

Il Teroldego

Zona Produzione Teroldego Rotaliano Trentino

Conosciuto come il “re dei vini” del Trentino, il Teroldego ha una lunga e misteriosa storia. Le sue origini sono infatti poco chiare: alcuni ritengono che il nome derivi dalla varietà Tirodola della Valpolicella, mentre altri suggeriscono un legame con il tedesco Tiroler Gold, ovvero “Oro del Tirolo”. Probabilmente il nome si riferisce invece più banalmente a Teroldeghe, un’area nel comune di Mezzolombardo. Sicuramente, questo vitigno è presente nella Piana Rotaliana fin dal Medioevo, e appare per la prima volta nelle opere del XVIII secolo di Michelangelo Mariani, cronista del Concilio di Trento. Il Teroldego cresce principalmente nella Piana Rotaliana, una zona tra Trento e Bolzano, particolarmente vocata per la coltivazione di questo specifico vitigno. I terreni della Piana, ricchi di minerali grazie ai detriti portati dai fiumi Noce e Avisio, ne favoriscono lo sviluppo. Qui, nel 1971, il Teroldego ottenne la sua Denominazione di Origine Controllata (DOC), diventando il primo vino del Trentino a ricevere tale riconoscimento. Oggi la DOC del Teroldego copre poco più di 400 ettari di vigneti e rappresenta un simbolo autentico della tradizione vinicola del Trentino.

Il Marzemino

Zona produzione Marzemino Trentino

Simbolo della Vallagarina, il Marzemino è stato celebrato come “eccellente” da Lorenzo Da Ponte, il famoso librettista del Don Giovanni di Mozart. Conosciuto nella zona di Rovereto sin dal tempo della Serenissima, è oggi coltivato nella zona ben delimitata della Vallagarina. I vini più conosciuti a base uva Marzemino sono il Marzemino d’Isera e il Marzemino dei Ziresi, prodotto nel comune di Volano. Questo vitigno ha giocato un ruolo chiave nel progetto di valorizzazione del territorio fortemente voluto dai principali player del vino trentino. Nella zona classica dei Ziresi sorge infatti Maso Romani, una realtà storica di circa sei ettari coltivati a Marzemino a filare. Circondato da antiche mura, Maso Romani ospita un vigneto a dir poco suggestivo, che rappresenta un unicum di biodiversità e sperimentazione. Di proprietà della Fondazione Romani e gestito attualmente dalla Cantina Viticoltori del Trentino (Cavit), tale vigneto produce il rinomato Maso Romani Marzemino Trentino Superiore DOC, un cru storico. Dal 2003, è stato anche oggetto di approfonditi studi per esaltare tutte le possibili espressioni del Marzemino, preservando la biodiversità e l’equilibrio naturale del terreno attraverso pratiche agronomiche come il sovescio. Questo impegno ha portato alla creazione di un’area sperimentale, che ha dato vita a quattro cloni migliorativi di questa specifica varietà. La continua ricerca e sperimentazione ha contribuito a creare un vino ricco, complesso e affascinante.

La Nosiola

Zona Produzione Nosiola Trentino

La Nosiola è l’unico vitigno autoctono a bacca bianca del Trentino e rappresenta un’eccellenza della regione. Le principali zone di coltivazione si trovano nella Valle dei Laghi e a Pressano, a nord di Trento. Nonostante la sua produzione sia limitata a pochi ettari, la Nosiola è un vitigno versatile, utilizzato non solo per la produzione di vini fermi ma anche per il celebre Vino Santo Trentino, un vino dolce unico al mondo. La tradizione della vinificazione del Vino Santo risale a oltre 200 anni fa, quando questo vino divenne un protagonista dei brindisi nelle corti reali dell’Europa centrale. La produzione di Vino Santo prevede un lungo processo di appassimento naturale delle uve, che vengono poi vinificate in primavera, seguendo un’antica tradizione che prevede la pressatura durante la Settimana Santa, da cui deriva il nome. Questo vino ha una straordinaria capacità di invecchiamento, con alcune bottiglie che migliorano anche dopo 30-40 anni. Oggi la produzione di Vino Santo è rara, con solo sei produttori al mondo che continuano a mantenere viva questa tradizione.

Il lavoro di valorizzazione del territorio operato da Cavit

Dell’importanza dei vitigni autoctoni trentini ne è a conoscenza, eccome se lo è, anche e soprattutto Cavit, storico protagonista del comparto vitivinicolo italiano che con oltre 5.250 viticoltori riuniti in 11 cantine sociali rinnova ogni giorno il proprio impegno nella valorizzazione e salvaguardia delle diverse aree di produzione del Trentino. La dedizione a una coltivazione responsabile di queste varietà e il profondo rispetto per l’eredità enologica locale sono difatti tra i principi fondamentali della filosofia che guida da sempre il consorzio. “In ogni vitigno autoctono si cela la storia del territorio, insieme alle caratteristiche dei suoli e del clima che lo contraddistinguono”, afferma Andrea Faustini, responsabile dell’area agronomica ed enologica di Cavit. “Per noi, lavorare con questi vitigni significa coltivare un’eredità preziosa. Il nostro obiettivo è non solo tutelare le particolarità di ogni varietà, coltivandola nelle zone dove può esprimere al meglio tutto il suo potenziale, ma anche tramandare le tecniche di coltivazione sviluppate nei secoli, affinché le nuove generazioni possano continuare ad apprezzare questa tradizione radicata e vitale”. Tutti e quattro i vitigni autoctoni sopra descritti trovano non a caso spazio nelle diverse linee di vino di Cavit, con etichette pensate per i canali Ho.re.ca o per la distribuzione organizzata.

Prova d’assaggio

Schiava vitigno autoctono Trentino

La Schiava di Cavit è un chiaro omaggio alla storia, chiamato non a caso “Cum Vineis Sclavis”: parliamo di un vino leggero e versatile, grazie al basso contenuto alcolico e caratterizzato da freschezza e note fruttate. L’ho assaggiato e ho trovato un rosso molto beverino che segue la tendenza del momento. Lo si può abbinare ai piatti tipici tirolesi, ad esempio ai canederli in brodo, alle zuppe di verdura o ai piatti a base di funghi, così come allo speck e agli affettati tipici delle zone alpine. Vi sconsiglio abbinamenti con cibi ricchi e di profilo aromatico particolarmente intenso che ne coprirebbero completamente note e sentori.

Spazio poi al Teroldego, che nell’universo Cavit vede spiccare il già citato Maso Cervara Teroldego Rotaliano Superiore DOC Riserva. In questo caso abbiamo un vino rosso d’eccellenza, strutturato, complesso e avvolgente, con importanti note di frutti di bosco e sentori di tabacco/cacao dovuti all’affinamento. Il consiglio food spazia dunque dalle carni rosse alla griglia ai piatti di selvaggina come il cinghiale al vino rosso fino ai formaggi di buona stagionatura.

Come Marzemino, ho provato il Marzemino Trentino DOC Bottega Vinai, un vino rosso armonico e rotondo dagli intensi sentori di viola, mammola e ciliegia matura, con tenui note speziate di liquirizia, una moderata acidità e un’equilibrata tannicità. È ideale per accompagnare antipasti a base di salumi ed affettati, primi piatti con sughi di carne, ma anche carni rosse alla griglia.

Vino Santo Nosiola Trentino

Menzione a parte infine per la Nosiola. Nel corso della sua storia, Cavit ha dedicato particolare attenzione a questa varietà, tanto che ben tre linee di prodotto celebrano la purezza e l’eleganza del suddetto vitigno: Nosiola Trentino DOC Mastri Vernacoli per la GDO e per l’Ho.re.ca Conzal Nosiola Trentino DOC e Trentino DOC Nosiola Bottega Vinai. Ottima innanzitutto come aperitivo, la Nosiola si sposa perfettamente con i piatti a base di pesce di acqua dolce, di verdure e carni bianche. La Nosiola Vendemmia tardiva è invece ideale abbinata a formaggi erborinati o stagionati e dal gusto deciso ma si accompagna anche a piccola pasticceria e biscotti secchi. Senza dimenticarci infine del Vino Santo: tra i solo sei produttori che lo producono, c’è anche Cavit col suo Arèle Vino Santo Trentino DOC. 


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