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C’è una paradossale nobiltà nella mentalità Ultras. E nei racconti di Ciabatti emerge

Quello che vollio fare adesso è parlarvi di un libro che mi è piaciuto molto.
No, non è un refuso quello che avete letto: “quello che vollio fare” è l’intro giocosa con cui Lamberto Ciabatti lancia i suoi video sulla seguitissima pagina Instagram Il Corista, dove con ritmo serrato condivide aneddoti, aggiornamenti e considerazioni sul mondo Ultras.

Chi scrive, con probabile sorpresa di alcuni dei miei venticinque lettori manzoniani, è cresciuto allo stadio, in curva, segnatamente nella Curva Nord laziale: sebbene nettamente distante dalle posizioni politiche spesso prese dagli Irriducibili, frequentare ogni domenica quell’ambiente tumultuoso, negli anni dell’adolescenza, è stato un esercizio filosofico straordinario. Dico sempre che essere tifosi, in particolare laziali, vivendo a Roma, è un privilegio intellettuale per spiriti forti: so che non è intuitivo, considerando come spesso il tifo da stadio, soprattutto di determinate curve, sia associato a ciò che di più volgare e brutale esiste in società.

Essere laziale e non fascista a Roma obbliga a una duplice condizione di minoranza: come tifoso nella propria città, come mente controcorrente tra i propri stessi “correligionari”. Una persona debole soccomberebbe a una pressione sociale simile, essendo schiacciato da due spinte contrarie opposte, ma un carattere forte si forgia nella sapienza e nel distacco: da sempre sottolineo come l’essere tifoso, dunque dichiaratamente schierato, fazioso, “partigiano” (per usare un’espressione contrastante, nella fattispecie) abitui una persona intelligente all’illusorietà delle identificazioni, alla vanità cangiante delle emozioni, ad abituarsi a testimoniare la rocambolesca imprevedibilità dell’esistenza.

Non è una battuta, è un esercizio di meditazione di massa: se il proprio umore dipende, per attaccamento a una bandiera scelta per tradizione familiare o per spontaneo innamoramento infantile, dalla deviazione fortuita di una palla che rotola qualche centimetro più in là, ebbene testimoniare con distacco tale dinamica interiore potrebbe essere preludio all’affrancamento dal proprio ego.

Mi si obietterà che il 99,9% dei tifosi allo stadio semplicemente sfoga il peggio di sé, in una sorta di zona franca collettiva in cui tutto è lecito, dai saluti romani agli insulti razzisti, dai cori osceni alle bestemmie creative.

Innegabilmente, è vero. Ma c’è anche molto altro: c’è una paradossale nobiltà nella mentalità ultras, una palestra di devozione e sacrificio che, se dedicata a oggetti diversi della propria attenzione, potrebbe condurre individualmente all’eccellenza. Decine di migliaia di persone sono abituate a fare sacrifici per vedere la propria squadra in trasferta (magari per una cocente sconfitta dopo una prestazione mediocre), rimanendo comunque fedeli ai propri colori; pensate cosa potrebbe accadere se quella appassionata devozione si trasferisse verso un ideale, politico o spirituale: si avrebbe un esercito di eroi o una stirpe eletta di santi.

Senza scadere nella retorica da immaginario fascistoide (la vittoria elettorale delle destre nasce dall’intelligente lungimiranza di far proseliti da decenni nelle curve, coltivando l’identità popolare, mentre la sinistra si chiudeva scioccamente nei salotti), valori come “onore”, “rispetto” e “lealtà” hanno trovato, spesso, molto più senso nelle curve da stadio che nel resto della società.

Ciabatti, nel libro Ultras (Edizioni Sem), racconta il mondo delle curve, in tutte le sue sfumature, dalla goliardia alla violenza, dalla passione genuina allo smarrimento dei valori iniziali, senza giudicare: non condanna, né esalta, ma racconta con trasporto la traboccante passione che popola gli stadi di ogni città.

La struttura è semplice quanto efficace: dodici storie di dodici ultras di dodici tifoserie di dodici squadre, raccontate in ordine alfabetico, quindi dando anche spazio a realtà non sempre sotto i riflettori (si inizia con le gesta gloriose dei tifosi dell’Ascoli).

Anche grazie alla scaltrezza narrativa di Ciabatti, i dodici racconti traboccano di vivace e sanguigna umanità, quindi anche di contraddizioni, di lati oscuri, di inevitabile violenza. Ma lo sguardo del narratore sa intrecciare, senza insopportabili moralismi o esaltazioni inopportune, le vicende rocambolesche, talvolta divertentissime, dei protagonisti in un racconto corale, pur nella fiera identità rivendicata da ciascuna curva.

Un libro che consiglio vivamente a chiunque voglia liberarsi dai pregiudizi nei confronti del tifo da stadio. Nonostante la copertina giallorossa.


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