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C’è un fascicolo fascicolo secretato sul caso di Emanuela Orlandi sul quale vige ancora il segreto di Stato: cosa contiene, i telegrammi scambiati da Stato e Vaticano

Che non fosse una semplice e banale scomparsa è stato chiaro sin da subito anche al governo italiano: sin dai primi giorni successivi al sequestro di Emanuela Orlandi la sua è stata una questione di Stato. Lo dimostrerebbero i tre telegrammi tra Vaticano e governo italiano su cui, dopo 42 anni, vige ancora il segreto di Stato (fonte: Fanpage).

Il faldone segreto di Fanfani
Nel giugno del 1983 al suo sesto governo c’è Amintore Fanfani che sta per cedere Palazzo Chigi a Bettino Craxi e all’era socialista. Il leader dello scudo crociato tra i suoi appunti custodisce una cartellina con dentro una ventina di pagine intitolata “Questione scomparsa Orlandi”. Dentro ci sarebbero: un po’ di rassegna stampa ma soprattutto tre lettere dell’ex terrorista turco Mehmet Alì Agcà al Papa e (una) al cardinale Agostino Casaroli; tre telegrammi istituzionali tra Stato italiano e Santa Sede.L’uso del condizionale è d’obbligo perché, secondo quanto riporta Fanpage “Questi ultimi fogli evidentemente significativi in quanto tali sono coperti da anni dal segreto di Stato”. Tant’è che sono ancora inaccessibili, benché custoditi all’Archivio del Senato.

Le lettere di Agca
Il 13 maggio del 1981, lo ricordiamo, Alì Agca tentò di uccidere il Papa in piazza San Pietro con tre colpi di pistola. Dopo che fu letteralmente acciuffato da una suora mentre scappava tra il colonnato del Bernini, Agca fu arrestato e condannato all’ergastolo. In queste tre lettere a Giovanni Paolo II, Agcà invoca il perdono e fin qui nulla di nuovo. La lettera invece inedita è indirizzata al segretario di Stato Agostino Casaroli ed è datata 23 settembre del 1982, sedici mesi dopo l’attentato. Scrive Agcà in questa missiva: “Non sono prigioniero dello Stato italiano. Sono prigioniero della Santa Sede (Vaticano) che è prigioniera di Gesù Cristo che perdonò i suoi assassini senza che si pentissero…. se accade qualcosa qui in prigione, io dichiaro che l’unico responsabile sarebbe la Santa Sede Vaticana. Io sono un prigioniero di Dio, come il banchiere di Dio” (fonte: Fanpage). Il turco dunque chiama in causa il Vaticano ma soprattutto gli affari dello Ior, la banca Vaticana, con il riferimento finale a Roberto Calvi e fin qui nulla di nuovo. Come non lo è il fatto che queste lettere vennero inserite da Fanfani nella cartellina su Emanuela Orlandi, dal momento che i presunti rapitori invocarono subito uno scambio tra il lupo grigio e la Vatican Girl. Tuttavia, in un lancio Ansa dell’8 luglio del 1983 pubblicato in esclusiva da FqMagazine era scritto che “La richiesta di avere Agca in cambio di Emanuela potrebbe essere una sorta di depistaggio per trattare con il Vaticano un riscatto in danaro. Questa seconda ipotesi spiegherebbe perché nella telefonata all’Ansa i sedicenti terroristi non hanno usato nessuna sigla” (fonte: Ansa). I cronisti della prima agenzia di stampa italiana all’epoca avevano quindi reinterpretato il ruolo nella vicenda di Alì Agca: le richieste di scambio sarebbero state, secondo questa ipotesi, un pretesto per coprire la vera trattativa in corso basata su una transazione di soldi.

I Tre telegrammi
E poi ci sono i documenti ancora secretati, all’interno di questa cartellina di cui scrive Fanpage: il primo è del 21 luglio 1983 e fu inviato dalla Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede (n. 62656) al Ministero; il telegramma del 23 luglio 1983 (n. prot. sede 69, n. prot. generale 24604) fu inviato dal Ministero all’ambasciata italiana presso la Santa Sede; il telegramma del 26 luglio 1983 venne invece inviato dalla Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede (n. 64064) al Ministero. Riporta Fanpage che non sono ancora consultabili; nonostante il vincolo di segretezza sia scaduto da decenni: “lo Stato si riserva ancora di divulgarne il contenuto” e quindi il testo dei telegrammi è ancora ignoto. Coincidenza non trascurabile è il fatto che proprio in quei giorni, il 22 luglio, alla famiglia Orlandi venne chiesto (secondo la versione emersa negli anni) dal capo dell’ufficiale Sisde Gianfranco Gramendola di affidarsi a un nuovo legale scelto dai Servizi: l’avvocato Gennaro Egidio. Gramendola ha poi negato davanti al giudice Adele Rando questa circostanza. Tuttavia, a liquidare la parcella di Egidio – un compenso importante e insostenibile da qualsiasi famiglia normale come gli Orlandi – furono proprio i Servizi Segreti: “di questo voi non dovete preoccuparvi” fu detto a Ercole Orlandi, padre della ragazza. Egidio era già stato consulente alla Milton Court di Londra sul caso del Crack del Banco Ambrosiano e di Roberto Calvi. Si era occupato anche del Giallo dei sibillini: il caso della scomparsa di Jeanette May Rotschild e della sua governante e amica Gabriella Guerin (poi ritrovate senza vita), anch’esso legato allo Ior.

Gli altri eventi del luglio del 1983
Tutto questo accadeva mentre Stato Italiano e Vaticano si scambiavano informazioni o indicazioni sul caso Orlandi, in totale riservatezza, la stessa che vige ancora oggi su questi tre telegrammi. Altro episodio significativo che accadde in quei giorni fu il recupero da parte di un cronista dell’Ansa del cosiddetto nastro delle torture, che fu consegnato al cronista ai piedi della scalinata che porta al Quirinale. Di questa cassetta, in cui si sente la voce di una ragazza che subisce molestie a intensità crescente, oggi c’è solo una versione digitale riversata e tagliata. Manca l’originale in cui c’erano anche delle voci maschili. Il Sismi disse ai genitori che erano solo spezzoni di un film porno ma in un verbale stesso dei servizi si legge: “L’impressione che deriva dal confronto della voce femminile registrata sui nastri sinora esaminati, con particolare riferimento a quella relativa alla presunta “intervista” della Orlandi, è che si tratti della medesima persona, in considerazione della somiglianza del timbro e della tonalità della voce, anche se l’intensa emotività presente nella voce registrata nell’ultimo nastro unitamente allo specifico contesto, rende più difficile il contesto stesso. Si sottolinea peraltro, che tali valutazioni si basano esclusivamente sui lamenti e sulle frasi chiaramente intellegibili pronunciate dalla donna in questione. Esse sembrano denunciare un’autentica e intensa sofferenza estremanente credibile nella sua espressione” (fonte: Fanpage). Anche il padre della ragazza Ercole Orlandi riconobbe in quel nastro la voce di sua figlia, all’epoca, come confessò in quei giorni al figlio Pietro. Perché, dunque, quelle voci maschili furono tagliate? E soprattutto ci si chiede dove possa essere il nastro originale.


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