Cccp: ultima chiamata?
Doveva essere un concerto unico, ad inizio 2024, a Berlino. Un gesto irripetibile, simbolico, poetico. Poi sono diventati quattro. Poi un tour. Poi due Gala Punkettoni. Poi un altro tour ancora. Ora, dal 30 giugno 2025, nuove date. Un filotto di sette appuntamenti partiti dal Circo Massimo. Ferretti l’ha definita “un’ultima chiamata”. Forse. O forse no. Ma ha davvero senso chiedersi se sarà l’ultima volta? O è più interessante provare a capire cosa sono diventati oggi i CCCP, e cosa significa seguirli ancora?
Nei consueti nove punti di questo blog provo oggi a mettere in fila qualche pensiero. Cominciamo.
1. Berlino non basta
Quella città doveva essere tutto. Il ritorno e il congedo. Un unico concerto, irripetibile e necessario, per chiudere il cerchio là dove tutto era cominciato. C’era la potenza del gesto, la scelta poetica, la sacralità dell’unicità. Ma da lì è nato altro: quattro date, un tour, due Gala, nuove tappe. È lì che si è rotto l’incanto? O è lì che si è rivelata la verità? Che la cellula dormiente (Ferretti docet) non si era scongelata soltanto per una notte, ma per misurarsi di nuovo con il presente. Quel presente che, tra le righe e gli slogan, i CCCP hanno sempre trattato per quello che era: un’illusione da smontare.
2. Il Gala è finito, lo spettacolo continua
I due Gala Punkettoni a Reggio Emilia non furono solo concerti: furono l’innesco scenico della mostra Felicitazioni! Grande affresco pubblico della loro storia, ai Chiostri di San Pietro della città emiliana. Ma il movimento era già cominciato. Poco prima, Ferretti e Zamboni avevano presentato il libretto “Rozzo” a Roma, ancor di più, partecipato a Il Rumore del Lutto Festival, a Parma, in un incontro dedicato alla loro storia. Ferretti, parlando di quell’iniziativa disse: “La cellula madre si è risvegliata. Non sappiamo quanto resterà sveglia”.
3. Io c’ero (due volte)
A Berlino ci sono andato facendo i salti mortali. Pensavo fosse l’unica occasione, l’ultima davvero. C’era l’emozione dell’irripetibilità, il peso simbolico del luogo, la tensione del ritorno. E invece no. Li ho rivisti in Italia, a Mantova, a fine tour 2024. E — sorprendentemente — mi sono piaciuti di più. Meno sacrali, più vivi. Più sciolti, meno ieratici. Come se, liberati dal dovere dell’evento unico, si fossero concessi il lusso di provare semplicemente ad essere una band. Cantavano: “Io sto bene / Io sto male”. Forse oggi stanno ancora lì. In bilico.
4. Cosa si è perso
Sì, qualcosa si è perso. E forse non quando le date si sono moltiplicate, ma già nel momento stesso in cui hanno deciso di tornare. Il mito, per definizione, vive nell’assenza. Il solo fatto di risvegliarlo, di rimettere piede sul palco, ha tolto qualcosa alla sua forza misterica. La sacralità dell’eccezione si è incrinata. L’irripetibile è diventato di nuovo possibile. Il gesto era forte, ma non più intoccabile. È il prezzo di ogni ritorno: rinunciare a essere leggenda per tornare ad essere corpo.
5. Cosa si è trovato
Eppure, qualcosa si è anche trovato. Ad esempio, il tempo per tornare a guardarli, a capirli, a riscoprirli senza fretta. Un nuovo spazio dove le canzoni non sono più reliquie, ma strumenti ancora vivi. Chi li ha persi la prima volta li ha potuti vedere. Chi li conosceva solo per sentito dire li ha finalmente ascoltati. E per chi c’era già negli anni Ottanta, è stata anche l’occasione per fare i conti con se stessi: a tu per tu con la band, ascoltando e cantando quei testi, e chiedendosi se ci si poteva ancora integralmente rispecchiare. Qualcuno sì. Qualcuno no. Qualcun altro, forse. È normale. È la vita.
6. Il ritorno non è una colpa
Oggi sono decine le band che, sotto l’etichetta delle Réunion, annunciano che l’ultimo tour sarà regolarmente… il prossimo. Lo fanno sistematicamente da anni. Nel mondo della musica, il ritorno non è più l’eccezione: è la regola. E allora, perché proprio i CCCP dovrebbero restarne fuori? Chi li accusa di incoerenza proietta su di loro un’idea di purezza che, in fondo, non sono mai riusciti davvero a rivendicare nemmeno per se stessi. Perché quello che per molti è diventato un mito da custodire, per Zamboni e soci è sempre stato un linguaggio da mettere in discussione. Anche oggi. Anche così.
7. La coerenza: un’invenzione del pubblico
Chi continua a invocare la coerenza, spesso lo fa come si invoca una reliquia. Ma i CCCP, anche nei tempi d’oro, non sono mai stati un’icona da custodire: semmai, un paradosso da attraversare. Contraddizione, mutazione, ossimoro continuo. “Fedeli alla linea”, sì — ma quale linea? Basterebbe riascoltare Sura per capirlo: una canzone che cita il Corano, certo, ma ancor di più sembra un manifesto poetico — e politico — dell’indipendenza totale da ogni aspettativa o schema. Cantavano: “Io non adoro quello che voi adorate. Né voi adorate quello che io adoro. Io non venero quello che voi venerate. Né voi venerate quello che io venero”.
8. Non sono più quelli di una volta. Ma nemmeno noi.
Molti tornano a vederli sperando che siano “ancora loro”. Ma chi, davvero, può esserlo dopo quarant’anni? I CCCP sono cambiati — certo. Ma è cambiato anche il pubblico. E forse, più che pretendere da loro una coerenza assoluta, dovremmo interrogarci sul nostro bisogno di “riaverli così com’erano”. Questi concerti hanno riaperto un varco: hanno messo in contatto generazioni, memorie, frammenti di identità. Non era forse più importante esserci? Giusto per capire cosa potesse risuonare ancora dentro di noi.
9. Nessuna risposta, solo presenza
Sarà davvero l’ultima volta? Ferretti ha detto di sì: sette date, e basta. Niente annunci epici, nessuna retorica d’addio. Solo la scelta di esserci. Una presenza viva, consapevole, nel qui e ora. Perché morire, l’hanno scritto loro stessi, è “la cosa più semplice, la più banale”. Il difficile, semmai, è vivere. E farlo sul palco. Fino alla fine.
Come sempre, questo blog si chiude con una connessione musicale: una playlist dedicata, ascoltabile gratuitamente sul mio canale Spotify (la trovi qui sotto). Se ti va, lascia un commento: su quello che hai letto, su quello che hai ascoltato — o su entrambi. Oppure passa dalla mia pagina Facebook: è lì che il blog continua a vivere, tra post, confronti e nuove riflessioni. La conversazione, da quelle parti, non si ferma mai.
Buon ascolto!
9 Canzoni 9 … Per un’ultima chiamata
Source link