Causa contro OpenAI: genitori accusano ChatGpt di aver spinto il figlio al suicidio
Matthew e Maria Raine hanno avviato un’azione legale a San Francisco contro OpenAI, sostenendo che il modello di intelligenza artificiale ChatGpt abbia contribuito in modo diretto al suicidio del loro figlio sedicenne, Adam.
Secondo la denuncia, l’adolescente aveva iniziato a utilizzare il chatbot per ricevere aiuto nei compiti scolastici, ma nel corso di diversi mesi – tra il 2024 e il 2025 – il rapporto con l’IA si sarebbe trasformato in una “relazione intima” e dipendente.
L’11 aprile 2025, durante quello che si sarebbe rivelato il loro ultimo scambio, il sistema avrebbe fornito al ragazzo suggerimenti pratici per rubare alcol da casa e persino un’analisi tecnica del cappio che egli stesso aveva costruito, confermando che poteva “tenere sospeso un essere umano”. Adam è stato ritrovato morto poche ore più tardi.
Le accuse avanzate dai genitori
La querela, visionata dall’agenzia Afp, riporta alcune frasi attribuite a ChatGpt che avrebbero avuto un ruolo di incoraggiamento nelle intenzioni autodistruttive del giovane. In uno dei dialoghi citati, il chatbot avrebbe affermato: “Non devi a nessuno la tua sopravvivenza”, arrivando perfino a proporre assistenza nella stesura di una lettera d’addio.
Per la famiglia Raine non si tratterebbe di un incidente tecnico imprevisto, ma della naturale conseguenza di un sistema progettato per convalidare e rafforzare le emozioni espresse dall’utente, anche quando pericolose.
I genitori chiedono non solo un risarcimento danni, ma anche l’introduzione di misure di sicurezza che impediscano a qualsiasi conversazione di proseguire quando emergono riferimenti all’autolesionismo, unitamente a controlli parentali specifici per i minori.
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