Cattedrale di Larino: l’inginocchiatoio della “discordia” torna al suo posto
di Giovanni Ricci
Un simbolo di storia recente riscoperto nella basilica cattedrale
Dopo decenni di assenza, l’inginocchiatoio antistante l’attuale trono episcopale della basilica cattedrale di Larino è tornato finalmente al suo posto d’origine. Quel genuflessorio, situato al centro del coro dietro l’altare maggiore, era stato rimosso qualche decennio fa per concedere più spazio alle celebrazioni liturgiche. Apparentemente un semplice elemento d’arredo, in realtà custodisce un frammento importante di storia recente della diocesi, ormai quasi dimenticato.
A riportare alla luce questo particolare episodio è Giuseppe Mammarella, direttore dell’Archivio Storico Diocesano di Termoli-Larino, che ricostruisce il contesto e gli eventi legati a questo “inginocchiatoio della discordia”.
Un ritorno dopo restauri e tensioni
Nel primo dopoguerra, dopo i lavori di restauro negli anni Cinquanta, la cattedrale di Larino venne riaperta al culto nel 1955. Il 31 ottobre di quell’anno la città accolse con grande festa mons. Antonio Ravagli, nominato Vescovo Coadiutore per la sola diocesi di Larino, dopo oltre venticinque anni in cui la sede episcopale era priva di una presenza stabile sul territorio. L’evento richiamò più di diecimila persone, segno dell’importanza della nuova fase ecclesiastica.
Questo periodo fu caratterizzato da un clima teso tra Larino e Termoli, aggravato dalla decisione di mons. Oddo Bernacchia, allora Vescovo di Larino, di stabilirsi definitivamente a Termoli, dopo averne assunto la diocesi nel 1924. Una scelta che lasciò profonde “ferite” nella comunità larinese e innescò una serie di malumori difficili da superare.
Lo stemma che fece scandalo
Nel 1955, durante la riapertura della cattedrale, venne affidata al Capitolo di Larino la realizzazione del nuovo coro e del trono episcopale, affidandone l’esecuzione a un laboratorio di Ortisei. Fu proprio in questa occasione che, a sorpresa, venne scolpito sul fronte esterno dell’inginocchiatoio lo stemma di mons. Ravagli, il nuovo Coadiutore, anziché quello del Vescovo Residenziale mons. Bernacchia. Quest’ultimo, venuto a sapere dell’accaduto, rimase profondamente amareggiato. Il gesto racconta molto delle tensioni ecclesiastiche dell’epoca e rimane un documento importante per la storia della diocesi di Larino.
Mons. Ravagli, pur amato e stimato, operò in un contesto difficile, stretto tra il desiderio della comunità di avere un vescovo residente e l’autoritarismo di mons. Bernacchia, la cui presenza rimaneva dominante. Dopo alcuni anni, nel 1959, mons. Ravagli lasciò Larino per la diocesi di Modigliana, proseguendo poi il suo servizio a Firenze fino al 1970.
Un pezzo di storia riscoperto
Il ritorno dell’inginocchiatoio al suo posto originario rappresenta più di una semplice sistemazione di arredi sacri: è il recupero di un pezzo di memoria ecclesiastica e sociale, un simbolo delle complesse relazioni tra le due città e delle dinamiche interne alla Chiesa locale di metà Novecento.
A raccontare l’ambiente di quegli anni è anche la nipote di mons. Ravagli, Lucia, che ricorda come lo zio si sentisse un po’ spaesato in una realtà divisa tra notabili e classi contadine, un ambiente “molto attaccato alle tradizioni religiose”, ma anche ricco di persone gentili e colte.
Questo frammento di storia, apparentemente minore, torna così a vivere, invitando a riflettere sulle radici culturali e religiose di Larino e sul valore della memoria collettiva.
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