Sicilia

Catania, al processo Kynara il pentito svela in aula come tutti i giorni dalla Calabria arriva una fiume di cocaina

Una fotografia attualissima, vista dall’interno, di quello che è accaduto fino a poco tempo fa ai piani alti del clan Cappello. Michele Vinciguerra, ultimo collaboratore “di peso” del panorama criminale etneo, ha raccontato cosa è accaduto dall’aprile 2021 fino al suo arresto nel corso dell’udienza preliminare del processo Kynara. L’inchiesta è quella che lo ha portato in carcere lo scorso dicembre. Poi in estate la decisione di collaborare con la giustizia.

La proposta

«Quando sono stato scarcerato sono stato chiamato da Rocco Ferrara e da Pietro Guarrera. Che però non mi hanno trovato i primi giorni perché io abitavo a mare. Io mi sono fatto trovare e siamo stati a casa – ha spiegato a Bicocca rispondendo alla domande della pm Tiziana Laudani – nel mio quartiere in via Delle Calcare».

Prima di andare avanti è bene spiegare chi sono i due personaggi citati da Vinciguerra. E lo spiega lui stesso sollecitato dal sostituto procuratore. «Pietro Guerrera è nel gruppo Bonaccorsi da più di trent’anni. E Rocco Ferrara è parente di Salvatore Cappello». I due vecchi boss avrebbero chiesto al pentito di assumere il potere. «Mi chiesero: fai il responsabile direttamente di tutto il clan, prenditi le redini nelle mani», ricorda.

No, grazie

Ma Vinciguerra avrebbe declinato l’offerta: «Io gli rispondo che non ho motivo di prendermi la responsabilità del clan. Alla fine ci siete voi fuori, c’è Cocimo Viglianesi». In realtà Ferrara sarà arrestato dopo la condanna in abbreviato per i tentati omicidi avvenuti durante la sparatoria dell’8 agosto 2020. Sono invece a piede libero Guerrera e Viglianisi.

Piccola parentesi, nel processo d’appello del troncone abbreviato il pg potrebbe chiedere di sentire Vinciguerra prima di qualsiasi valutazione sulle proposte di concordato. Già i verbali sono stati depositati nell’ordinanza che ha portato all’arresto di Giuseppe Auteri di Palagonia e Giovanni Di Stefano (figlio del noto boss Nino cammisa morto per cause naturali da qualche tempo) come partecipanti della guerriglia mafiosa di tre anni fa al civico 18 del viale Grimaldi. Di Stefano inoltre, secondo i pentiti, avrebbe assunto il “comando” di una corrente del clan Cappello che, dopo la guerra contro i cursoti milanesi, si sarebbe frantumato in più gruppi. Così racconta il pentito Carmelo Liistro.

Ma torniamo all’esame di Vinciguerra a Bicocca. Il pentito, dopo avere spiegato il complicato e sofferto percorso che lo ha portato a scegliere la strada della collaborazione, va dritto al cuore delle accuse mosse agli imputati. E cioè il traffico di droga nell’asse Catania-Calabria. Il personaggio centrale di questo fiume di cocaina che avrebbe rifornito piazze catanesi e siciliane è il calabrese Saverio Zoccoli. «Mi viene presentato da Bassetta (anche lui collaboratore da poco, ndr) e lo porta a casa mia – al Lido Delfino in via Arzilla – Giacomo Ravasco». Lo definisco «un familiare», «lo zio Saverio».

Il traffico di droga

Il sistema per far arrivare la polvere bianca era stato ben congegnato. «Il traffico di droga dalla Calabria alla Sicilia – spiega Vinciguerra – era quasi tutti i giorni». Il trasporto avveniva in mezzi in cui erano stati creati dei nascondigli. «Ci sono delle macchine che nei cruscotti dove c’è il portacenere ci sono fatti i lavori, ci sono fatti lavori nei parafanghi delle macchine per posare la droga, nei Turbo Daily ci sono fatti anche dei lavori», chiarisce l’ex cappelloto. I punti di consegna erano diversi. «Avvenivano in via Palermo dove c’è l’ospedale, c’è un chiosco, avveniva a Misterbianco dove c’è il Bingo. Avveniva al Torero, ristorante a Vaccarizzo. Avveniva direttamente dove c’è il b&b, quello che succedeva».

Gli appuntamenti erano fissati attraverso dei telefonini «in cui si possono fare solo messaggi e non si può parlare a voce». Cellulari che «sono nati proprio dai calabresi, perché solo loro ce l’hanno, tutti loro ce li hanno questi telefonini. Perché qua non ce n’è, noi in Sicilia non ce li avevamo questi telefoni con questo marchingegno».

Le rivelazioni di Vinciguerra potrebbero far male anche alla ‘ndrangheta.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA




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