Cassoni: “Più laureati e incentivi per le specialità così si riforma Medicina”
«Servirà tempo per capire gli effetti della riforma per l’accesso a Medicina ma già le università avevano mostrato diverse perplessità. Non se ne vedeva la priorità, a differenza del bisogno reale di incentivare i neolaureati a scegliere le specialità meno richieste come la spesso citata medicina d’urgenza, la radioterapia e le altre che non hanno sbocchi nel privato. Su questo è importante intervenire». Paola Cassoni, direttrice della scuola di Medicina dell’Università di Torino, a pochi mesi nel suo nuovo ruolo si trova subito a gestire una sfida impegnativa, come tutti i suoi colleghi.
Parliamo dell’abolizione del test e del numero chiuso all’ingresso dei corsi di laurea di Medicina, Veterinaria e Odontoiatria, e il debutto del “semestre aperto” con sbarramento a dicembre vincolato al superamento di tre esami (chimica e propedeutica biochimica, biologia e fisica) e quindi, in base ai voti, al posizionamento in una graduatoria nazionale.
Direttrice, a settembre arriveranno nelle vostre aule 3.138 studenti. Di questi solo circa 700 saranno poi ammessi al secondo semestre di Medicina, Odontoiatria o Veterinaria e quindi regolarmente iscritti. Come vi siete organizzati?
«In una simulazione didattica avevamo stimato circa 3mila persone, quindi possiamo dire di esserci andati vicini. Degli iscritti, alla fine, 2.330 hanno optato per seguire in presenza. E questo ci fa molto piacere perché vuol dire che c’è voglia dopo il Covid di tornare a un rapporto più umano, in aula. Per accoglierli avevamo immaginato inizialmente sezioni da circa 500 posti che saranno quindi più piccole. Ma a differenza degli altri corsi le lezioni partono a settembre per approfittare delle aule ancora vuote. In contemporanea saranno anche trasmesse online, così quanti hanno optato per l’opzione di seguire da remoto potrannno farlo senza alcun problema. La possibilità di collegarsi proseguirà anche per le lezioni di ottobre ma, visto che in quel mese saranno tornati in classe anche tutti gli altri studenti, le sezioni seguiranno le lezioni facendo turni».
Nei mesi scorsi non è mancata preoccupazione per il debutto della riforma, con il timore di penalizzare la didattica a casua dei grandi numeri. E adesso?
«Sui primi mesi c’è di sicuro un tema di organizzazione ma è risolvibile. Quel che ci preoccupa di più è la seconda fase: l’università dovrà redistribuire la gran parte degli oltre tremila candidati su corsi affini scelti all’iscrizione. Già sappiamo che la maggior parte ha scelto Biotecnologie, Farmacia e Biologia: corsi riguardo ai quali il ministero ci ha chiesto di aumentare la disponibilità fino a un più 20 per cento. Ma questa fase si delineerà più avanti e sono certa che le università saprànno gestirle al meglio».
Quindi aumenteranno i posti per i corsi cosiddetti affini, ma non per Medicina stessa?
«L’Università di Torino continua ad avere, come disponibilità per il primo anno in Medicina, 527 posti . Ci sono atenei che aumentano ma hanno numeri più bassi, quindi parliamo di poche unità. E così come negli anni passati, i 74mila che si sono iscritti non diverranno tutti medici. È cambiato il criterio di selezione dei candidati».
Ossia il superamento dei tre esami entro dicembre. Saranno uguali per tutti?
«Sì, sono tre esami che verranno organizzati a livello nazionale: sono stati già definiti i programmi comuni con argomenti uguali da inserire nei corsi in tutte le università. Ogni insegnamento dovrà attenersi a queste linee guida ministeriali».
Una sorta di test procrastinato di tre mesi rispetto a settembre. Però con una stessa preparazione, al di là del percorso delle superiori. Penso ai diplomatici classici. È così?
«Se vogliamo questa è la principale differenza del nuovo metodo, un po’ sul modello francese, e può essere visto come un valore aggiunto perché dà a tutti gli studenti la possibilità, almeno in questi mesi, di una preparazione uguale per tutti. Ma bisognerà attendere per capire come poi si comporterà questa popolazione studentesca. Va detto che in passato chi era molto motivato si preparava in autonomia per colmare le lacune. C’è anche un altro tema che questa riforma cerca di risolvere: i corsi di preparazione a pagamento».
Ma allora perché la stessa riforma non era ritenuta neccessaria?
«Perché non aumenta significativamente il numero di medici, inoltre mancano specialisti in campi fondamentali per la medicina ed è su questo bisogna predisporre azioni concrete».
Source link