Caso Almasri, denuncia all’Aia contro l’Italia. La Corte: “Per ora nessuna indagine”
Alla Corte penale internazionale (Cpi) è arrivata una denuncia sull’operato del governo italiano per “ostacolo all’amministrazione della giustizia ai sensi dell’articolo 70 dello Statuto di Roma” in riferimento al caso del generale libico Almasri. È quanto scrive il quotidiano Avvenire nella pagina online. Secondo fonti dell’esecutivo italiano tuttavia “non esiste ad oggi nessun procedimento aperto contro l’Italia dalla Corte penale internazionale”. E anche la Cpi conferma tramite il portavoce che al momento presso la Corte “non vi è aperto alcun caso contro esponenti italiani”.
Le stesse fonti di Palazzo Chigi spiegano che “il procuratore della Cpi non ha ufficialmente inviato la denuncia del cittadino sudanese ai giudici. Il rifugiato sudanese ha inviato una mail all’indirizzo mail dedicato dell’ufficio del procuratore. Le comunicazioni sono moltissime, ognuna viene vagliata e solo se ritenuta fondata può originare un procedimento, che richiede mesi. Il tutto viene di solito tenuto riservato, salvo che lo stesso denunciante non lo riveli al pubblico, cosa che pare essere avvenuta in questo caso”. “Secondo lo Statuto di Roma, il trattato istitutivo della Cpi, qualsiasi individuo o gruppo di qualsiasi parte del mondo può inviare informazioni (che la Cpi definisce ‘comunicazioni’) al procuratore della Cpi. L’Ufficio del procuratore non commenta tali comunicazioni” fa sapere a ruota il portavoce della Cpi. Mentre nei prossimi giorni il caso potrebbe sbarcare all’Europarlamento. E addirittura è il ministero della giustizia che adesso è pronto a rilanciare: da via Arenula potrebbero formalizzare nei prossimi giorni alla Corte penale internazionale una richiesta di spiegazioni sulle incongruenze nelle procedure attivate per il mandato di arresto del generale libico Almasri.
Indicati i nomi di Meloni, Nordio e Piantedosi
Nella denuncia ricevuta dall’Ufficio del Procuratore, che l’ha trasmessa al cancelliere e al presidente del Tribunale internazionale, sono indicati i nomi di Giorgia Meloni, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi. L’atto finito all’attenzione dei giudici è stato trasmesso dai legali di un rifugiato sudanese che già nel 2019 aveva raccontato agli investigatori internazionali le torture che lui e la moglie avevano subito dal generale libico, quando entrambi erano stati imprigionati in Libia.
Nordio ironizza e Tajani attacca
“Credo che a questo mondo tutti indaghino un po’ su tutto. Noi abbiamo fiducia nella giustizia umana. Postulo la giustizia divina proprio perché la giustizia umana spesso è fallibile, ma accontentiamoci di quella che abbiamo e vediamo come va”, è il commento a caldo del ministro della Giustizia, Carlo Nordio a Un giorno da pecora, sull’accusa contro il governo italiano. La notizia arriva nel giorno del suo 78esimo compleanno che trascorrerà dedicandosi ai suoi hobbies: “Leggo, ascolto musica e se riesco faccio sport. E stasera a cena con mia moglie”, come racconta sempre in radio.
“No comment” dal vicepremier forzista Antonio Tajani: “Ho molte riserve sul comportamento della Corte su questa vicenda. Forse bisogna aprire un’inchiesta sulla Corte penale, bisogna avere chiarimenti su come si è comportata. Comunque confermo, l’atto inviato all’Italia era nullo, condivido al 100% quello che ha detto il ministro Nordio”.
La denuncia
Nella denuncia di 23 pagine, il richiedente asilo, un cittadino sudanese del Darfur con lo status di rifugiato in Francia, sostiene che sua moglie, lui stesso e innumerevoli membri del gruppo di cui fa parte sono stati vittime di numerosi e continui crimini”. Nel 2019 l’uomo – si legge nell’articolo di Avvenire – aveva presentato una comunicazione all’ufficio del Procuratore fornendo “un’ampia serie di prove” che a suo dire implicavano responsabilità di alti funzionari dell’Ue e dell’Italia, tra cui ex primi ministri e ministri italiani per avere favorito il compimento di crimini contro i diritti umani in Libia. La sua testimonianza è tra quelle contenute nell’atto d’accusa allegato al mandato di cattura per l’ufficiale libico accusato di crimini di guerra e crimini contro i diritti umani.
Nell’atto di denuncia, secondo quanto scrive il quotidiano, ci sarebbero anche delle imprecisioni come l’indicazione della permanenza del generale libico “in Italia per 12 giorni”. In realtà Almasri era stato precedentemente in altri Paesi Ue ed è rimasto in Italia dal 18 al 22 gennaio, quando è stato poi rilasciato su ordine della Corte d’appello di Roma e riportato a Tripoli con un volo dei servizi segreti italiani. I legali del rifugiato stanno preparando integrazioni alla prima denuncia dopo avere ricevuto la conferma di acquisizione da parte della procura.
“Secondo l’accusa – si afferma nell’articolo -, nella quale Meloni, Nordio e Piantedosi sono indicati come ½sospettati, i rappresentanti del governo italiano non hanno provveduto a consegnare il generale Almasri alla Corte penale internazionale: “Hanno abusato dei loro poteri esecutivi per disobbedire ai loro obblighi internazionali e nazionali”. In particolare viene citato l’articolo 70 dello Statuto di Roma che disciplina i provvedimenti contro chi ostacola la giustizia internazionale. Secondo la norma “la Corte eserciterà la propria giurisdizione” su una vasta serie di reati, tra cui “ostacolare o intralciare la libera presenza o testimonianza di un teste”.
L’affondo della segretaria Pd Elly Schlein
“Le parole pronunciate da Nordio hanno aperto uno scontro senza precedenti con la Cpi, frutto delle contraddizioni del Governo e della scelta che Meloni non ha avuto il coraggio di spiegare. La verità è sotto gli occhi di tutti: Giorgia Meloni ha impedito che un criminale internazionale venisse assicurato alla giustizia, riaccompagnandolo con tutti gli onori laddove può continuare a commettere i suoi crimini”. Lo dichiara in una nota la segretaria del Pd Elly Schlein. “Quello che vogliamo ribadire, ancora una volta, è che l’informativa di ieri non ha chiarito nulla, semmai ha aumentato lo sconcerto: Nordio e Piantedosi si sono presentati con due linee diverse e confliggenti l’una con l’altra. Per questo ancora una volta ribadiamo che è Giorgia Meloni a dover rispondere politicamente della vicenda. Davanti al Parlamento e al Paese, basta nascondersi, non parla ormai da giorni, è ora che finalmente chiarisca questa vicenda”.
Il caso Almasri al Parlamento europeo
Il caso Almasri approda anche al Parlamento Europeo. “Pur senza citarlo direttamente, è stata approvata la nostra richiesta, proveniente dal gruppo The Left, di un dibattito sulla protezione del diritto internazionale e delle prerogative della Corte Penale Internazionale”. Lo affermano in una nota congiunta Danilo Della Valle e Gaetano Pedullà, europarlamentari del Movimento 5 Stelle. Il dibattito è previsto per martedì sera a Strasburgo.
Il governo Meloni, continuano gli europarlamentari, “sta provando a scaricare tutte le colpe della scarcerazione del boia libico alla Cpi, quando invece ne ha deliberatamente ignorato le richieste. Il dibattito è previsto martedì sera e noi porteremo in aula anche il caso Netanyahu, il cui mandato di cattura internazionale va eseguito senza tentennamenti dagli Stati che hanno sottoscritto lo Statuto di Roma e che quindi sono obbligati a eseguirne le decisioni”, concludono.
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