Cartoni animati, maratone, pop art: in Usa (e ritorno) per scalare il gaming italiano
L’ingresso della sede operativa di Cidiverte, l’azienda di Gallarate che controlla la metà del mercato italiano dei videogiochi, è un piccolo labirinto: una stanza con un muro di piante verdissime e piena di oggetti d’artigianato e gadget di gusto arboriano dà accesso a un corridoio zigzagante: da un lato gli uffici con le grandi vetrate, dall’altro una lunga parete continua. «Questo era un capannone industriale», racconta Pietro Giovanni Vago, il fondatore e amministratore delegato dell’azienda. «Nel 1992, quando siamo nati, ne occupavamo solo una piccola porzione. Nel resto del capannone c’erano molte imprese tessili, quelle tipiche del territorio. Negli anni, lo abbiamo preso quasi tutto aggiungendo un pezzo alla volta».
Alla lunga parete è affissa una serie di quadri. La luce non aiuta: a prima vista sembrano poster. Ma avvicinandosi si capisce che, in realtà, sono opere d’arte. Stampe, litografie, dipinti. Piccole sculture appese al muro. «Non ho moglie e figli, compro quadri – sorride Vago –. pop art, la mia passione, ma in generale tutto quello che mi piace». In sequenza, ci sono i più grandi nomi della scena americana, ma anche artisti poco conosciuti. Parte del muro è vuota perché molti quadri sono andati in prestito. «Compro in giro per il mondo quello che mi colpisce, nelle gallerie o nei mercatini. Anche i miei dipendenti possono acquistare le cose che piacciono loro, con un limite di spesa di mille euro. Basta che mi mandino un whatsapp con le foto, giusto per informarmi».
Nell’ufficio di Vago dominano un Lichtenstein e un dipinto di Goldrake, coloratissimo. «È di un artista non molto noto – spiega Vago –. L’ho comprato a Venezia, in una galleria. Sono entrato e Goldrake mi ha guardato in maniera irresistibile. Non ho potuto non portarlo con me. Sono cresciuto nella cultura dei cartoni animati giapponesi, la mia prima passione. Mazinga, Goldrake, Lady Oscar e Conan Ragazzo del futuro». Ore e ore a guardarli in collegio, in Svizzera, dove Pietro ha frequentato le medie e il liceo. «I miei genitori mi avevano mandato a Lugano in una scuola americana per imparare l’inglese e per paura dei rapimenti. Ricordo che ci eravamo trasferiti sul Lago di Varese, in un paesino. Noi piccoli non potevamo mai stare soli o giocare al parchetto con gli altri bambini», racconta Pietro. Era l’Italia degli anni di piombo e la Milano di Turatello, dei sequestri di persona.
L’impresa di famiglia, Monava Trasporti Internazionali, fondata dal nonno, era gestita dal papà di Pietro e da suo fratello. Inutile dire che Pietro, il primogenito, nelle intenzioni dei genitori era destinato a prendere il comando dell’azienda. Ma la passione per i cartoni e i primi videogiochi era troppo forte. Pietro va a studiare ingegneria informatica a Washington. Si laurea nel 1991 e inizia a lavorare per le start up americane del settore. Il primo incarico, però, è molto particolare: l’Università manda questo giovane ingegnere italiano alla Casa Bianca a insegnare WordPerfect, un programma di scrittura per pc, a Barbara Bush, la first lady di George Bush senior. «Una studentessa attenta e applicata – ricorda Pietro –. Voleva imparare per rispondere velocemente alle lettere dei cittadini».
La svolta, però, è l’assunzione a Bethesda Softworks, lo studio che diventerà uno dei punti di riferimento per i videogiochi. Lì, Pietro capisce che il mercato si sta espandendo rapidamente e che in Italia, un terreno ancora vergine, c’è un grande potenziale. «Ho iniziato a guardare gli indirizzi delle società di videogiochi sulle scatole dei prodotti – racconta Vago –. Telefonavo e chiedevo se avevano bisogno di un distributore per l’Italia». Così arrivano le prime licenze dei colossi americani e giapponesi.
Source link