Caroline Darian, il racconto della figlia di Dominique Pelicot uno dei più grandi predatori sessuali delle storia
«Mi chiamo Caroline Darian e sono la figlia della vittima e quella del carnefice», così l’autrice del libro E ho smesso di chiamarti papà, appena pubblicato in Italia, parla di sé e della sua storia. A dicembre, suo padre, Dominique Pelicot, è stato condannato a 20 anni per aver drogato sua moglie Gisèle per violentarla e consegnarla a oltre ottanta sconosciuti che hanno abusato di lei a Mazan. Il tribunale di Vaucluse, dopo quattro mesi di processo, ha giudicato colpevoli anche 51 uomini di età compresa tra 27 e 74 anni, accusati per stupro aggravato di Gisèle Pelicot, tra il 2011 e il 2020.
La grande esclusa dal processo resta Caroline Darian, figlia di Dominique. L’abbiamo incontrata a Milano, il giorno dell’uscita in Italia del suo libro. Di lei sono state trovate nel computer del padre, in una cartella cancellata, due foto in cui giace in un letto incosciente, probabilmente drogata, in una posizione innaturale e con addosso degli slip che non riconosce. Moltissimo per sconvolgere la mente di una figlia sicura di essere stata lei stessa una preda del padre. Non abbastanza per essere riconosciuta come vittima in un processo per stupro. Rivolgendosi a suo padre in Tribunale, Darian ha detto: «So che hai abusato di me. Non hai il coraggio di dirmelo, ma io ho bisogno di conoscere la verità per andare avanti».
Caroline, cosa è rimasto della sua vita prima del 2 novembre 2020, quando ha scoperto la verità su suo padre?
«C’è un’infinità di ricordi che preferisco tenere in un cassetto. La vita prima del 2020 era quella di Caroline innocente e ignara dei terremoti che sconvolgono l’esistenza. Oggi è tutto differente. Oggi mi trovo a fare i conti con una pesantissima eredità filiale».
Dominique ha sempre negato di averla drogata, di averle scattato delle foto e di aver abusato di lei, anche se lei è certa che l’abbia fatto. Come si sente? Si vede come una vittima dimenticata?
«Durante i mesi mesi del processo, Dominique ha negato di aver drogato sua figlia, di averla fotografata e sedata. Ma io so che in queste due fotografie, scattate a mia insaputa, non sto dormendo. Non c’è dubbio. Per me vederle è stato un cataclisma. Quest’uomo mi ha guardato con uno sguardo incestuoso. La domanda è perché. E se si considera la fedina penale di Dominique Pelicot è ovvio che non l’abbia fatto solo come esperimento. Devo imparare a convivere con una verità che non mi sarà mai rivelata».
Come fa?
«La cosa più importante è che io ho deciso di fidarmi di me stessa. Ho sporto denuncia appena ho viste quelle foto. So che la verità è nelle mie mani. Avrei voluto sentirla da lui, vederla riconosciuta in un processo, ma sono certa che quello che sostengo sia reale. Purtroppo sono una vittima non riconosciuta, invisibile, come altre centinaia e centinaia di donne e ragazze in Francia. Il problema è che non ci sono prove, non c’è una confessione. C’è un’intima certezza, che si scontra con un muro di silenzio e di bugie».
Sperava che Dominique Pelicot dicesse la verità durante il processo?
«Speravo che fosse abbastanza onesto da ammettere qualcosa, almeno sull’origine delle fotografie. E invece ha detto tutto e il contrario di tutto, cominciando con il negare di essere stato lui a scattarle. Francamente non mi aspetto più di scoprire la verità. Lui è un manipolatore, un usurpatore, un bugiardo».
In che misura l’incertezza le impedisce di elaborare quello che è successo?
«Non sapere è molto peggio che sapere. Vivere nel dubbio è una condanna. Dopodiché, significa anche fidarsi ancora di più di se stessi. Essere certi che se si ha una convinzione, non viene dal nulla. Lui mente, ma io posso dirmi la verità. So che ho fatto bene ad affermare forte e chiaro in quell’aula di tribunale che ero una vittima. Una vittima non riconosciuta, certo, ma pur sempre una vittima. È importante parlare e non lasciarsi abbattere dall’indifferenza e dall’impotenza del sistema giudiziario».
Pensa che troverà mai le risposte che cerca?
«No, la mia condizione di vittima non sarà mai riconosciuta dalla legge. Solo una confessione di Pelicot cambierebbe le cose. Sarà mai abbastanza onesto da farla? Non ci conto».
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