Carolina Kostner: «Accettarmi per come sono mi ha cambiato la vita. Alla me bambina direi di non nascondere le proprie fragilità»
Mi porto avanti e gliela faccio anch’io questa domanda: cosa ha rappresentato, a suoi occhi, il pattinaggio?
«Sicuramente mi ha tirato fuori da buchi bui, mi ha tenuto compagnia nei momenti di solitudine. Mi ha fatto arrabbiare, frustrare, portandomi a sprigionare una forza e un coraggio che neppure sapevo di avere. Una vera scuola, che mi ha portato ad essere chi sono oggi, nel bene e nel male».
Tant’è che, messe da parte le gare, il pattinaggio continua ad essere centrale nella sua vita. Corretto?
«Prima, gareggiando, era più semplice spiegare cosa facessi. Oggi vesto più ruoli e mi piace molto, perché mi dà la possibilità di capire cosa voglio fare da grande (ride, ndr). Tutt’ora mi alleno e faccio esibizioni, maggiormente in Giappone, ma ho anche spettacoli in Italia: esploro il pattinaggio oltre le regole della gara, ho più libertà e c’è connessione con il pubblico. Poi ho imparato a raccontare a parole ciò che faccio, incontrando studenti ma non solo. Inoltre seguo i nostri ragazzi della Nazionale, il mio gruppo sportivo Fiamme Azzurre, supervisiono i loro allenamenti. Infine seguo un ragazzo giapponese, l’argento olimpico di Pechino, dal punto di vista artistico coreografico».
In un’intervista del 2017 mi disse che dopo le esperienze che aveva attraversato, non si sentiva più «solo atleta». Guardando tutto ciò che fa adesso, possiamo confermarlo.
«L’errore sta nel credere che un successo, o il riuscire a raggiungere un obiettivo, ci cambi. In realtà, penso che il cambiamento avvenga prima e ti permetta poi di vivere quel momento importante con presenza e lucidità. Penso alla mia medaglia olimpica, che per me è stata molto sofferta, alla terza partecipazione ai Giochi e con tanta pressione: non ero mai riuscita ad esprimere davvero ciò che mi riusciva benissimo in allenamento. Ecco, quando finalmente mi hanno messo la medaglia al collo pensavo che avrebbe risolto tutti i miei problemi, che sarebbe stata il cambiamento, invece non è stato così: mi sono accorta che la mia crescita era già avvenuta prima, altrimenti non sarei salita su quel podio».
Visione lineare del cambiamento, il ritrovarsi già cambiati quando si raggiunge l’obiettivo. È stato così anche quando ha scelto di dire basta con l’agonismo? Pensare che non lo ha mai neppure annunciato ufficialmente.
«Purtroppo è coinciso con il periodo Covid. Io sognavo di fare un evento, un’esibizione, uno show in cui avrei potuto invitare i miei affetti, i miei colleghi, chi in qualche modo ha contribuito alla mia carriera, e poter inchinarmi io di fronte a loro, e ringraziare. Quando poi siamo usciti dal Covid, era passato un po’ di tempo e mi pareva quasi non avesse più senso, c’è stata una naturale transizione in avanti. Ma chissà, magari in futuro ci sarà l’occasione di realizzare questo sogno, sganciandolo ovviamente dall’addio alle gare (ride, ndr). Sarebbe il mio grazie».
E sarebbe anche una chiusura del cerchio. O, visto che siamo in tema, dei Cerchi.
«Sarebbe molto bello se dopo Milano Cortina ci fosse l’opportunità di fare anche questo. Perché sì, sicuramente si chiuderebbe un cerchio di vent’anni: Torino 2006, la mia prima Olimpiade da atleta, e Milano Cortina 2026, la mia prima Olimpiade in ruoli diversi, in cui appunto vestirò vari cappelli».
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