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«Caro Presidente Trump, ci ha chiamati “ritardati”? Le parole contano», i ragazzi affetti da sindrome di Down rispondono a Donald Trump. E il video è virale

«Dear President Donald Trump», inizia così il video pubblicato su almeno sei account Instagram di persone con sindrome di Down, in risposta all’utilizzo in tono offensivo della parola ritardato – negli Stati Uniti chiamata R-word – avvenuto nei giorni scorsi.

«This is not about politics. It’s about Human Decency» («Non si tratta di politica, si tratta di decenza umana»), dicono le persone coinvolte nel video, rivolgendosi direttamente al presidente americano.

Un video in risposta a Donald Trump

Il video è stato realizzato in seguito a un recente intervento in cui Donald Trump ha definito un avversario politico ritardato. Quando gli è stato chiesto se fosse convinto della parola scelta, la sua risposta è stata: «Assolutamente sì. Hai qualche problema al riguardo?». Questa uscita, insieme ad altre dichiarazioni simili – tra cui quelle di Elon Musk – ha contribuito a riaccendere il dibattito pubblico sull’uso del termine ritardato, che negli Stati Uniti è considerato offensivo e discriminatorio da oltre un decennio.

L’episodio ha suscitato reazioni immediate da parte di attivisti, famiglie e associazioni legate al mondo della disabilità, ma anche da parte di semplici cittadini.

Words do matter (Le parole contano): il cuore del messaggio

La lettera esprime un concetto chiave: Words do matter. Le parole contano. Non è una dichiarazione astratta, ma il punto centrale dell’intero discorso. Il reel è costruito attraverso un’alternanza di voci: a turno, diverse persone con sindrome di Down guardano in camera e leggono parti della stessa lettera, che compare integralmente anche nella caption del post. Non ci sono slogan né musica enfatica: solo parole pronunciate con calma, fermezza e consapevolezza, con lo sguardo rivolto direttamente in camera.

Le persone che compaiono nel reel non parlano di inclusione: la incarnano. I loro nomi – Grace Strobel, Taylor Freeman, Matthew Von Der Ahe, Lily Moore, Trista Kutcher, Matthew Schwab, Mary Borman, Kennedy Garcia, Kayla Kosmalski, Malik Jabbaar, Amy Bockerstette, Caden Cox, Nate Simon e Sofia Sanchez – compaiono sotto ai loro volti, uno per uno.

Il testo chiarisce fin da subito che non si tratta di una questione politica, ma di decenza umana. L’uso della R-word viene definito «outdated, dirty, filthy» (obsoleta, sporca, disgustosa): una parola non solo superata, ma profondamente offensiva, capace di colpire le persone con disabilità e di ridurle, allo stesso tempo, a uno stereotipo.

Il messaggio insiste su un aspetto spesso sottovalutato: le parole non restano mai isolate. Feriscono milioni di persone, le loro famiglie e i loro amici. E contribuiscono a costruire – o a demolire – l’immaginario collettivo.

Donald Trump e la responsabilità del linguaggio pubblico

Nel testo, Donald Trump viene chiamato direttamente in causa non solo come individuo, ma come figura pubblica. «You have the power and position to set an example», recita la lettera. Essere un esempio significa evitare di normalizzare il bullismo, di legittimare la derisione delle persone vulnerabili e di rendere accettabili forme di crudeltà quotidiana che molte persone e famiglie combattono ogni giorno.


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