Caccia a una terza via in linea con le regole per i satelliti di Musk
La sovranità tradizionale ha ceduto attributi alla sovranità digitale? Il territorio da limite di competenza alla giurisdizione statale è diventato un luogo di scambio dei servizi virtuali contro i dati personali a prescindere da dove l’impresa risieda. La rappresentanza politica ha fatto un passo indietro davanti alla forza del denaro: l’eletto non conta per i voti ricevuti ma per le piattaforme a lui favorevoli.
Le fonti del diritto, pubbliche, rappresentative e volontarie, sono cedevoli alle regole tecniche, automatiche e dettate da una mente meccanica, che può ripetere all’infinito errori e discriminazioni nell’assoluta impunità, godendo di un’irresponsabilità di fatto. Chi, infatti, potrebbe spegnere la piattaforma X nel caso in cui offrisse una campagna di pubblicità elettorale oscillante tra il vero e il falso? Ma nonostante ciò, l’imperio statale ancora trattiene nelle sue mani qualche frammento di sovranità: la difesa dei confini, la protezione della gente e del suo territorio dagli eventi straordinari che ne minacciano l’incolumità.
Ora lo scenario sta cambiando: le informazioni criptate, le comunicazioni in tempi di crisi e le conversazioni di chi vive nelle zone bianche potrebbero rientrare nell’orbita di Elon Musk.
Se non fosse chiaro, stiamo valutando di cedere senza riserve settori strategici – sicurezza e comunicazioni intersoggettive – un tempo nella titolarità esclusiva del nostro Stato, non a un organismo internazionale, ma a un privato, straniero, campione del liberismo economico, e ambasciatore su autoinvestitura di un presidente, che nel suo recente passato ha sostenuto la rivolta contro la democrazia.
Qui la rule of tech ha divorato la rule of law, e con essa il principio di legalità. Dove è la norma che assegna a Musk il dominio sul regno satellitare? Sarebbe vano cercarla, perché essa risiede nel suo potere economico, titolo sufficiente a spalancargli le porte delle nuove comunicazioni elettroniche.
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