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Brambilla, tecnico ad interim della Juve. Nel calcio si parla latino ma stavolta non c’entra Lotito


Quando nel calcio si affaccia il latino, le ipotesi sono tre. Uno: ci sono di mezzo gli ultras. Due: sta parlando Lotito. Tre: un vice allenatore ha vinto un biglietto per un giro sulla giostra. Quasi sempre alla Juventus, forse per coerenza linguistica. La parola in questo caso è interim. Lasciamo perdere cosa dice IL, leggendario dizionario liceale Castiglioni-Mariotti. Interim nel calcio significa che ti promuovono per mancanza di alternative. È un incarico che ha il vizio di nascere più morto della lingua che lo indica, ma ha il pregio di descrivere la scena con chiarezza. È più sincero un interim che un traghettatore.

Il precedente del quinquennio 2006-2011

Nella lunga crisi post Covid della Juventus, Massimo Brambilla è il secondo a cui tocca il ruolo dopo Paolo Montero, venuto dalla Primavera a riempire il vuoto lasciato da Massimiliano Allegri. Quando questa nuova parentesi si sarà conclusa e la Juventus avrà aggiunto un altro stipendiato al suo libro paga, il totale dei passeggeri in panchina sarà salito a sei in cinque anni. Fra le tre sconfitte consecutive e le quattro partite senza gol per le quali si cercano lontani precedenti nella storia, questo valzerone di cambi e contro-cambi non è neppure tanto inedito. Sempre in sei si alternarono nel quinquennio 2006-2011: Didier Deschamps, Claudio Ranieri, Ciro Ferrara, Alberto Zaccheroni, Luigi Delneri e in mezzo – eccolo là – l’interim di Giancarlo Corradini. Era la Juventus che stava gestendo il dopo-Calciopoli: un altro dettaglio che racconta quanto drammatica sia la crisi d’oggi. Al quinto anno di quel tunnel sbucò Antonio Conte, un acceleratore di processi, e la nebbia svanì. Cinque anni dall’ultimo scudetto sono trascorsi in estate e l’obiettivo è lo stesso del 2011: trovare una figura che restituisca stabilità e definisca un principio. Nel senso di un inizio nuovo.

Interim: il più provvisorio degli avverbi

Questa antica idea di dominio calcistico che dal 1897 definiamo con un sostantivo femminile della terza declinazione latina [iuventus, iuventutis], ora vive invece imprigionata nel più provvisorio degli avverbi – Interim – un tempo sospeso e duraturo, un frattanto che continua, continua, e non finisce mai. La parola interim segnala la cessazione di una funzione, tipo quando smetti di accumulare scudetti uno sull’altro. Negli ultimi cinque campionati la iuventus-iuventutis non è arrivata né prima né seconda. Non succedeva dai tempi in cui regnava il Grande Torino. Pure in quella fase ci furono un paio di allenatori di passaggio, uno si chiamava Federico Munarati e un altro addirittura Luisito Monti, campione del mondo con l’Italia del 1934. Gli interim juventini non sono durati mai meno di due partite [Carpe diem]. Ma ci sono casi anche da 29 presenze, come per Ercole Rabitti fra 1969 e 1970, per Carlo Bigatto fra 1934 e 1935, l’uomo che dovette prendere il posto di Carlo Carcano, guida del Quinquennio d’oro e prima vittima dell’omofobia nel calcio italiano.

L’interim alla maniera di Berlusconi

Se il traghettatore sta al calcio come il premier di un governo balneare alla politica, l’interim si colloca più o meno nei pressi di quei ministri temporanei che tappano un buco nell’attesa di un rimpasto. Solo che ogni tanto il sistema deraglia. Silvio Berlusconi era capo del governo quando assunse su di sé l’interim degli Esteri, forse in uno slancio d’amore per la patria: “Sono l’uomo giusto al posto giusto – disse –serviva un organizzatore, un innovatore”. Come quando da presidente dell’Edilnord aveva preso l’interim da allenatore della squadra di calcio aziendale. Alla Farnesina si trattenne per otto mesi. Alla Juventus un interim di durata berlusconiana è stato quello di József Viola, l’ungherese che tra 1926 e 1928 fu provvisorio per 67 partite. Stavolta per cercare il ministro della panchina bisognerà sbrigarsi prima, e poi stabilire se si tratta di un ministro con o senza portafoglio. Ma questa è un’altra storia.


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