Friuli Venezia Giulia

Bora Museum: l’invisibile diventa visibile con Rino Lombardi. Tra gioco e scienza, il Magazzino dei Venti compie 20 anni

22.01.2024 – 09.30 – “Il vento è un’istituzione invisibile, una celebrità, non la vediamo, ma c’è. Può essere fastidioso, ma ha una capacità di rivitalizzare e divertire: rispecchia il ‘morbin’ triestino.”
Le parole di Rino Lombardi, ideatore del progetto Bora Museum, partono da qui per affrontare un percorso ventoso in cui scienza, fantasia, gioco e racconto dialogano tra loro. Tutto questo accade in ogni anfratto del Magazzino dei Venti: spazio di relazione umana – affascinato da memoria e creatività – che accoglie, in via Belpoggio, visitatori e triestini da vent’anni.

Partiamo dal Magazzino dei Venti, il cuore soffiante del progetto Bora Museum. Cosa mai è stata scelta la parola magazzino?
“Parliamo spesso di magazzino perché è uno spazio poetico che non si sente ancora all’altezza di chiamarsi museo. Inaugurato nel 2004, voleva essere un esperimento per verificare la fattibilità di un Museo della Bora a Trieste.
I musei nascono dalle istituzioni, il nostro, invece, è nato dal basso con l’apertura dell’associazione nel 1999; da lì una serie di contatti hanno dato un senso ben preciso al nostro futuro. Prima di diventare Magazzino dei Venti, lo spazio era un deposito della carta, già si proponeva in una dimensione fisica e materiale dove, oggi, si possono toccare con mano ricordi e aneddoti legati al vento. Il gioco è una componente basilare nel percorso del Magazzino: divertimento e vitalità non possono mancare quando si parla di vento.”

Ma per avviare il progetto, qual è stata l’ispirazione iniziale?
“Colpevole è una vacanza a Lisbona, nel 1998, l’anno dell’Expo. C’era dappertutto il ‘Galo de Barcelos’ come souvenir e mi sono chiesto quale poteva essere un oggetto caratteristico per Trieste.
Così, nell’aprile 1999, abbiamo lanciato la Bora in scatola, alla Libreria Transalpina. Sono nati in quel frangente i primi contatti: la scoperta dell’archivio Polli e di una ricercatrice francese che stava scrivendo una tesi sulla bora. Bora Museum è nato come un gioco. E la Bora in scatola, quasi per scherzo, ha portato una continuità duratura al progetto.”

Torniamo al Magazzino dei Venti, guidati da un refolo di bora. Come lo scoprono le persone?
“È molto curioso: non abbiamo mai fatto pubblicità, ma abbiamo una buona visibilità mediatica. Sono usciti diversi articoli per giornali importanti o servizi in televisione. ‘La Repubblica’ (2007) è la prima testata nazionale che ci ha dedicato una pagina intera: ‘I cacciatori dei venti perduti’. L’ultimo articolo sulla stampa si trova, invece, sul ‘The Guardian’: un long form che si apre con una foto di Theo Jansen, l’artista del vento.”

Il vento è un elemento che necessita di una divulgazione scientifica. Cosa ne pensi?
“Certo. Noi collaboriamo da anni con la Società Meteorologica Alpina Adriatica: sono i nostri consulenti scientifici. Alle volte, mi piace chiamare il magazzino “immaginario scientifico del vento”.
Il nostro primo approccio alla divulgazione scientifica nasce con ESOF (2020): abbiamo realizzato in quell’occasione un museo pop-up temporaneo in collaborazione con l’OGS e la Società Meteorologica. Da quel evento si è sviluppato, poi, ‘Cambiaventi-L’emergenza climatica e noi’ (2021): un progetto per sensibilizzare i giovani sul cambiamento climatico. Tutti i contributi visivi e testuali raccolti sono stati caricati in una piattaforma e sono diventati un libro dopo una prima fase formativa con esperti sui temi del clima e dell’ambiente, attivisti e ideatori di buone pratiche.”

E negli ultimi anni, invece, quale direzione stanno prendendo i vostri progetti?
“Ci interessa molto la raccolta delle memorie legate alla bora. ‘Che vento faceva – Memorie del clima’ è un progetto in conclusione che indaga il clima di un passato lontano, come nel caso della battaglia della Bora (394 d.C.) nella quale i Romani d’Oriente sconfissero i Romani d’Occidente. Di recente è partito invece ‘Altritempi – Testimoni del clima’: progetto in collaborazione con la Società Meteorologica Alpina Adriatica. In quest’ultimo caso, cerchiamo ricordi e fotografie delle persone che testimonino i cambiamenti climatici, dalla foto delle zanzare a novembre ai pupazzi di neve come segno nostalgico degli inverni più rigidi. Registriamo anche le memorie delle persone come pillole audio riascoltabili su Soundcloud.”

Ritorniamo ancora al Magazzino dei Venti? Ci sono delle sezioni particolari?
“Fino al 2004 il museo era uno spazio vuoto, si è riempito nel tempo e per dare ordine al disordine abbiamo ideato un percorso con venti indizi: si parte con la Bora in scatola e si finisce con un reperto del museo che dà stabilità e consistenza allo spazio, con le sue recensioni: il libro delle visite.
Tra le diverse chicche del museo ci sono l’Archivio dei Venti del Mondo e della famiglia Polli, la Collezione Artistica del Museo e le Curiosità di bora e di vento.”

Entriamo nel vivo del museo-magazzino. Cos’è l’Archivio dei Venti del Mondo?
“È una collezione molto importante che riflette un’idea di museo partecipato, nella cornice del progetto ‘Centoventi’: i visitatori ci spediscono venti di casa o raccolti in vacanza da ogni parte del mondo; ci sorprende sempre vedere la fantasia, la creatività e la generosità delle persone. Al momento sono più di 130 gli ‘ambasciatori eolici’ in rappresentanza dei venti donati, nei contenitori più diversi.
Custodiamo un vento da Chicago, un phon svizzero, ma anche un’ ’aria di patate lesse’ donatoci da alcuni bambini. E poi ci sono le persone sconosciute che non hanno mai visitato il museo e, avvolte dal mistero, ci spediscono i venti dai posti più remoti come una signora italiana da Tokyo. Si trovano qui anche venti piccoli: la brezza di Barcellona, una bora raccolta a Venezia ed un vento raccolto alla fermata della metro Crescenzago di Milano. Anche personalità note sono passate di qui, come lo scrittore ungherese László Krasznahorkai: siamo molto fieri di quest’incontro, ci ha donato un vento di Budapest. Ogni vento ha la sua storia e il suo contenitore: molte birre vengono dalla Germania o dal Nordafrica. Abbiamo un vento raccolto in Libia in una bottiglia di birra analcolica così il vento non si ubriaca, un vento di pace da Sarajevo e un altro, di qualche anno fa, da Kiev.

Passiamo all’archivio della famiglia Polli. Di cosa si tratta?
“È stato fondamentale per la nascita del museo. Polli era uno scienziato, direttore dell’Istituto Talassografico di Trieste. Era soprannominato ‘Il mago della bora’. Con suo figlio, professore e grande amante del Carso, abbiamo raccolto diverse testimonianze inedite dai suoi archivi: fotografie, pubblicazioni scientifiche, giornali e strumenti scientifici. Testimonianze preziose custodite nel museo, come un antico anemometro degli anni Venti.”

Non solo scienza, ma anche arte al Magazzino dei Venti. Con Collezione Artistica, cosa intendi?
“Una sezione è completamente dedicata alle opere di artisti che hanno testimoniato il vento attraverso diversi stili: dalle cartoline della bora del pittore Carlo Wostry (primi anni del Novecento) a illustratori e fotografi triestini (Pezzolato, Sedmak, Gardone, Furlani e molti altri).”

Voliamo, infine, alla sezione Curiosità di bora e di vento. Puoi fare qualche esempio?
“In questo caso, parliamo di reperti originali oppure creati ad hoc. Custodiamo qui le corde antibora originali: un elemento tangibile e concreto che possiamo associare al vento, visibili anche in una fotografia del grande Ugo Borsatti. Conserviamo traccia anche di alcuni momenti incisivi del passato come la ‘Bora Record’, titolo in prima pagina de “Il Piccolo” in due annate consecutive, 2011 e 2012. Tra i reperti di fantasia, invece, troviamo la finestra di Stendhal: un’invenzione che testimonia lo stupore dello scrittore di fronte ai doppi vetri e alle doppie finestre a Trieste; durante la sua permanenza in città definì la bora come un vento ‘abominable’ (abominevole).”

E il suono del vento, può essere ascoltato al Bora Museum?
“Il tubo musicale costituisce proprio una tappa del percorso: serve a far sentire i suoni lievi del vento, che cambiano a seconda degli oggetti che attraversa. Abbiamo anche altri strumenti interessanti per far sentire il fruscio delle foglie al passaggio del vento o il tintinnio delle barche a Barcola e in Sacchetta. Per simulare, invece, una presenza più poderosa della bora, usiamo uno spararia. La scala Beaufort indica, invece, la sua l’intensità: con i bambini recitiamo insieme i diversi stadi del vento, da una situazione di calma piatta fino al suo estremo.”

Nel vostro museo sono contemplati anche i consigli per convivere in strada con la bora?
“Abbiamo raccolto diversi escamotage antibora nelle memorie dei triestini: ‘iazini’ (ramponi da ghiaccio) costruiti nei cantieri per non scivolare o pezze di juta legate alle scarpe come antiscivolo. Per non volare via, invece, una signora ci ha raccontato che suo marito aveva segato in due una grattugia per il formaggio, così da metterla in tasca quando soffiava un vento forte. Comuni nelle tasche delle giacche erano anche sassi e mattoni; la mamma di una signora che andava a scuola dopo la seconda guerra mondiale metteva nello zaino della figlia una base di ferro da stiro per controbilanciarla. Un interessante reperto è, infine, un particolare tipo di scarpa prodotto nell’Ospedale Psichiatrico Provinciale di San Giovanni tra gli anni Trenta e Quaranta: sui tacchi venivano aggiunti dei chiodi o dei triangoli di ferro.”

Ci sono anche materiali che legano la bora al presente?
“Si trovano molti oggetti associati ai danni causati dalla bora a Trieste: pezzi di scuri, scooter ribaltati a effetto domino, antenne e paraboliche volate via, cortecce dei pini dalla Sella della Bora. Vogliamo mantenere anche un legame con le idee nuove in città: raccontiamo il progetto della Sartoria Sociale Lister che ricicla ombrelli rotti dalla forza del vento.”

Restiamo su Trieste. Qual è il tuo legame con la città?
“Trieste è un punto di incontro e crocevia di persone, qui puoi trovare la tua dimensione. Credo, però, che sia fondamentale uscire dalla città per vedere nuove prospettive e farsi un’idea del dinamismo e degli standard di qualità presenti altrove. Ho lavorato per un lungo periodo a Milano come copywiter: ho avuto l’occasione di entrare in una dimensione internazionale dove ho intessuto una serie di relazioni importanti.”

Accanto a Bora Museum, c’è anche una tua casa editrice: Calembour.
“Sono un appassionato del processo di stampa, da piccolo volevo diventare un tipografo. Anche l’estetica mi affascina molto, credo che la bellezza sia fondamentale nell’editoria. Nel caso di Calembour non c’è un progetto editoriale definito, pubblico dei libri a seconda dell’ispirazione. L’ultimo libro, ‘Antropologia della bora’ di Fabio Tufano, è nato per scherzo dopo un incontro fortuito. Si tratta dell’inizio della collana ‘I saggi del vento’: l’antropologia può aprire nuovi fronti di conoscenza.”

E il futuro cosa riserva al progetto Bora Museum?
“Ci sono grandi novità in vista: abbiamo vinto di recente due bandi finanziati dal PNRR. Realizzeremo, insieme a molte realtà sul territorio, un Borarium: un’esperienza digitale della bora, che andrà ad aggiungersi alle testimonianze materiali. E non solo: avremo uno spazio a Opicina per organizzare corsi, conferenze ed incontri; lì metteremo anche una stazione meteorologica per creare delle connessioni con la Slovenia.”

[m.p]

 




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