Blood Orange – Essex Honey
Con “Essex Honey”, Dev Hynes – alias Blood Orange – firma il suo lavoro più intimo e toccante. L’album nasce dopo la perdita della madre nel 2023, un evento che ha spinto l’artista a tornare nell’Essex, la contea inglese dove è cresciuto e che aveva lasciato da giovanissimo. È lì, tra le stanze della casa d’infanzia e i cieli grigi che sembrano sospesi nel tempo, che prende forma un disco che parla di dolore, memoria e cambiamento.

Il ritorno alle origini si intreccia con una riflessione più ampia sull’età adulta e sul tempo che passa. Hynes ha compiuto quarant’anni, e “Essex Honey” ha tutta la complessità emotiva di un momento in cui si tirano somme, si rimettono in discussione scelte e identità. Non è solo un album sul dolore per la madre, ma anche su un senso più vasto di perdita: quello dell’innocenza, del controllo, forse persino del sé. Frammenti di questi pensieri affiorano in testi scarni, quasi murmurati, dove il vuoto lasciato dalle parole pesa quanto le parole stesse.
Il suono del disco è riconoscibilmente Blood Orange, ma qui si fa più etereo, più fragile. Le tracce sembrano nascere da un luogo interiore, come se fossero emerse lentamente da settimane di silenzio. La produzione evita strutture prevedibili: ogni brano ha curve imprevedibili, pause, deviazioni. C’è un senso di smarrimento deliberato, che riflette il tentativo di orientarsi dentro un paesaggio emotivo senza mappe. Alcune influenze emergono con chiarezza – l’elettronica rarefatta, l’hardcore continuum dei rave anni ’90, persino il minimalismo malinconico dei Durutti Column in “The Field” – ma tutto viene rielaborato in chiave profondamente personale.
Nonostante l’argomento, “Essex Honey” non è un disco chiuso in sé stesso. Al contrario, Hynes lascia spazio a collaborazioni preziose: Caroline Polachek, Tirzah, Daniel Caesar, Brendan Yates e altri entrano in punta di piedi, senza mai rubare la scena. Sono presenze lievi, quasi come apparizioni sonore, che rafforzano il senso di comunità costruito nel corso di una carriera ventennale. Questo non è un album di singoli, ma un corpo unico, coerente, che si regge su una scrittura ispirata e su una produzione che predilige l’atmosfera alla spettacolarità. È un disco che chiede ascolto profondo e restituisce tanto, tantissimo. Un’opera matura, dolorosa, ma anche incredibilmente luminosa nel suo saper trasformare il dolore in suono.
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