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Progetto solista di Miguel Pereira, Mutestare è un luogo dell’anima dove s’incrociano le smisurate tensioni trascendenti che da sempre assediano la psiche dell’uomo e quel desiderio di indagare gli antri più inaccessibili della Terra che, per lo stesso, costituiscono una sfida altrettanto affascinante. 
Nato nel 1990 a Faro, nel sud del Portogallo, Miguel trascorse un’infanzia relativamente felice, tra “tanti giochi con gli amici e vita all’aria aperta”. Alla musica si avvicinò poco alla volta e non in modo sistematico: “Nessuna educazione musicale, a parte l’ascolto delle creazioni altrui. Mi sono abituato progressivamente a tutti i tipi di suoni, praticamente a tutti i generi, e in un certo senso sono diventato insensibile rispetto a quelle che normalmente sarebbero tavolozze sonore scioccanti o inedite. Ma ci è voluto un po’ di tempo, ovviamente; ero, forse, poco più che ventenne. Ricordo che mia sorella mi fece ascoltare i Nirvana quando dovevo avere 6 o 7 anni e mi facevano paura le parti urlate, che comunque mi piacevano. Credo, comunque, che anche giocare a Final Fantasy sulla Play Station One ha avuto molto a che fare con la mia formazione musicale. Quelle colonne sonore, soprattutto quelle di Final Fantasy VIII, si sono radicate profondamente nella mia psiche in modi per i quali, a posteriori, sono estremamente grato. Probabilmente hanno alimentato la mia inclinazione per musica ambient, che sarebbe riaffiorata molto più tardi. In ogni caso, ascolto musica più ‘seria’ da quando avevo circa quattordici anni, poi, grazie a RateYourMusic ho scoperto che ci sono tantissimi generi diversi e ho potuto affinare i miei gusti musicali. Per fortuna ho imparato a non dire di no a niente basandomi solo su un’idea preconcetta.”

Fino a vent’anni circa, Miguel si dilettò a suonare la chitarra senza una direzione precisa, armeggiando con un paio di amici con texture rumoriste. “Poi ho cercato di tirar fuori qualcosa tipo i primi Stars Of The Lid”, ci spiega “Così, finii per comprare un synth e cominciai a fare musica da solo con il nome Mutestare, che all’epoca suonava bene, mentre oggi mi sembra un po’ ridicolo. In ogni caso, avevo intenzione di riferirmi a uno sguardo strano, intenso, non confortevole.”

mutestare_a_violet_windL’esordio sulla lunga distanza, A Violet Wind (14 tracce; 111:14), arrivò nel giugno del 2018, e s’impose subito come uno dei migliori dischi di ambient/cosmica del decennio. Pubblicato dalla Vulpiano Records, l’album è un monumentale omaggio sia all’ambient più elegiaca, che alla musica cosmica tedesca. Tuttavia, per dare più consistenza a certe sfumature liriche, Miguel intinge il suo pennello anche nelle tavolozze della progressive-electronic e del folk. Da un punto di visto tematico, si tratta invece di un vero e proprio concept-album, costruito intorno alla storia di un ragazzo che, dopo aver sognato un omuncolo dorato, vive alcune esperienze fantastiche, cade addormentato in un bosco e poi viene raggiunto dagli alieni che se lo portano via: “A essere sincero, per me è molto più facile pensare a un’immagine o a una scena, o persino a una trama, e partire da lì. Non sono certo un artista speciale in questo senso, probabilmente molti musicisti ambient scelgono di lavorare in questo modo. Io ho semplicemente seguito l’idea della trama. Trovo molto difficile fare musica senza alcun tipo di stimolo, senza una serie di immagini che le diano una direzione. Senza un’adeguata formazione musicale o un talento naturale, mi rimane ben poco da cui partire. All’epoca, ero molto convinto del concetto di ‘esci da lì, esplora il disagio e accettalo’. Oggi giorno, è quasi un cliché, ma internet e l’era del comfort occidentalizzato e industrializzato hanno portato a questa naturale controreazione. In pratica, il personaggio dell’album va incontro a quel destino perché non ha cercato di risolvere i propri problemi nel modo giusto, fuggendo, invece, in un mondo di desideri. Credo, invece, che fare la cosa giusta e dire la verità ti porterà molto lontano, qualunque cosa accada. Le persone, che per qualsiasi motivo non sono mai entrate in contatto con questo stato d’animo in modo veramente significativo, potrebbero essere sarcastiche perché di solito, finché non lo si sperimenta davvero, non è mai reale, ma tutto appare sempre astratto e lontano. Credo che possiamo essere canali per quella ‘verità superiore’, se facciamo in modo che i nostri corpi funzionino al meglio, e che i nostri pensieri siano chiari. Quando ci arriviamo, la nostra intuizione e i nostri sentimenti più intimi diventano più forti e, credo, più allineati con ciò che è giusto per noi.”

Aperto dalla panoramica ouverture di “The Golden Homunculous”, l’album sfocia, senza soluzione di continuità, nelle luminescenze radiose di “First Hour Of The Morning – The Machine Revs Up”, le cui melodie cristalline s’intrecciano in vere e proprie sculture degli spazi siderali. La kosmische musik è il punto di riferimento principale anche per le galattiche panoramiche di “The Second Dream” e per il magniloquente crescendo, con ridda di archi dissonanti e vertigini da kolossal fantascientifico, di “The Woods (Stuck)”, composizioni in cui la grandeur di Klaus Schulze e le fibrillazioni liriche dei Tangerine Dream vanno di pari passo, mostrando chiaramente, se ancora ve ne fosse bisogno, che più questa musica si spinge verso gli spazi illimitati del cosmo e più finisce per sprofondare dentro quelli dell’anima umana. La prima parte di “Work Hard (Grumpy”) è, invece, preda di un ruvido pulsare minimalistico, la cui consistenza cresce fino a spegnersi rovinosamente, lasciando il campo a una sonata geometrica e, quindi, a una coda sospesa. Alle radure pacificate di “Go Home, It’s Night Already” (Brian McBride e Adam Wiltzie sono lì che annuiscono in silenzio) corrispondono quelle, più folk-oriented, di “Early Reflections” (un brano che ricorda alcune delle meditazioni del David Garland di “Verdancy”), ma anche i toni fiabeschi di “A Dinner And A Rabbit”, laddove il sinfonismo tremante di “Leave” fa il paio con le tessiture classicheggianti di “Memories And Precognitions”, la cui scenografia è completata dalla registrazione delle memorie di un ultraottantenne. 
All’inizio di “Watch The Birds Fly”, un sequencer sfreccia impazzito in mezzo a tonfi rumoristi. In seguito, si fanno innanzi field-recordings colti in una metropolitana, la cui umana fragranza è subito trasfigurata in una radura bucolica circondata da scie di sintetizzatori che aleggiano come ombre provenienti da dimensioni ultraterrene. Al cospetto di “Broken – A Street at 5am” sembra davvero di essere catapultati negli spazi infinitesimali di una buia strada di periferia durante le prime ore del mattino: se ne “osservano” i dettagli con un microscopio, auscultandone quei suoni impossibili da cogliere a orecchio nudo, mentre un pianoforte rilascia le sue note come gelide esalazioni di morte.
Le ambientazioni al limite dell’horror psicologico di “Sleep Better Lost” e quelle sci-fi di “What’s That” completano un affresco tanto imponente, quanto intenso e visionario.

mutestare_my_house_is_full_of_facesPer sette anni, della sigle Mutestare si perdono sostanzialmente le tracce. Poi, nel marzo del 2025 il ritorno con My House Is Full Of Faces (12 tracce; 69:40). “Comporre è divertente e frustrante. Sento che dovrei fare qualcosa di creativo. A dire il vero, spesso non mi piace. La passione per la musica arriva solo sporadicamente, anche se mi sento in dovere di farlo. Tuttavia, cerco di non forzare le cose ed è per questo che quest’ultimo progetto ha richiesto così tanto tempo per essere completato.” Meno efficace del suo predecessore, “My House Is Full Of Faces” si sposta verso sonorità più pacificate, verso una ambient del subconscio (si ascolti, ad esempio, “Floating Bowels”) guidata dall’idea di una musica come lente di ingrandimento per raggiungere l’essenza delle cose, come mostra fin da subito “Golden Furniture in a Fading Room”. Procedendo compatto, ma senza momenti davvero degni di nota, tra requiem obliqui e stranianti (“The Beam In Thyne Eye”), dissoluzioni rumoriste che sfociano in un intimismo quasi asfissiante (“Predicament”), dj set dell’oltremondo (“Feels The Same In The Crimson Room”), manipolazioni di corde e tasti (“Imp”) ed escursioni più chiaramente influenzate dalla musica cosmica (“Renew”, “Arrival At Canaan”), il ritorno di Miguel Pereira mostra un artista in divenire, reduce da un nuovo percorso di vita. “Negli ultimi anni,  mi sono trasferito a Lisbona e ho quindi orientato meglio la mia vita. Adesso, grazie soprattutto ad una maggiore sicurezza finanziaria, sono più a mio agio in generale. Per quanto riguarda la mia musica, uso ancora la stessa configurazione, gli stessi sintetizzatori, le stesse tecnologie. Sono pigro quando si tratta di cambiare cose di questo tipo. Per quanto riguarda il processo creativo, la differenza principale rispetto al mio precedente disco è stata la volontà di non avere fretta. Non credo che questo abbia comportato un miglioramento della qualità di mixaggio e mastering, ma ho perfezionato molto il mio sound, mi sono avvicinato molto di più a quello che volevo originariamente con ‘A Violet Wind’, in termini di atmosfera. Ho rifatto intere canzoni più di una volta, cosa che non avevo fatto affatto con il primo. Da quando ho finito l’ultimo album, ho comprato un nuovo portatile, quindi spero che il prossimo album abbia una produzione migliore”.




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