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Varg Vikernes, ideatore del progetto Burzum, è un criminale e musicista norvegese estremamente controverso e influente. Tutta la sua carriera lo ha visto caratterizzarsi come un innovatore della scena black metal nordeuropea. I suoi primi dischi sono caratterizzati da una brutalità estrema che però supera molto presto per creare un’alternativa lenta e rarefatta, aprendo una strada di ambient black metal o black metal atmosferico che ha influenzato tantissimi artisti in ogni parte del mondo. Le caratteristiche del progetto Burzum (oscurità nella lingua morgul di Sauron del Signore degli Anelli) sono principalmente il suono estremamente grezzo e lo-fi, con esordi più vicini al black metal delle origini (più i Bathory che i Mayhem), un suono distorto di chitarra ben riconoscibile, la creazione di atmosfere dilatate grazie a suoni ipnotici e ripetitivi inseriti all’interno di brani mediamente più lunghi delle tradizionali band black metal scandinave. La qualità della registrazione è volutamente la più bassa possibile, gli strumenti sono i più economici e scadenti (sia per scelta che per necessità). Come microfono, Vikernes chiede al tecnico di registrazione quello con la qualità audio minore. Dopo vari tentativi decide di utilizzare quello di una cuffia, cioè quello più scadente possibile.

varg_vikernesLa trance che il progetto Burzum crea è un tentativo di mettere in contatto l’ascoltatore con la natura e la mitologia delle religioni pagane. Da questa prospettiva non poteva che nascere la tipica filosofia anticristiana delle band black metal, in cui la religione cristiana è vista coma causa della fine dello spiritualismo pagano legato alla terra e alla natura e della fine della religione dei propri antenati, per una fede imposta con la forza e la violenza. Il pensiero di Varg non è quindi diverso da quello dei musicisti della sua scena, ma è stato vissuto come una missione di vita assoluta, passando da essere protagonista degli incendi delle chiese del 1992 e 1993 sino a una vita di isolamento immerso nelle foreste norvegesi.

La differenza fondamentale tra Vikernes e la maggior parte delle band black metal è che la sua personalità psicotica lo ha spinto a credere in modo paranoico alle sue idee, dividendo in modo manicheo il mondo tra bene e male, come farebbe un terrorista di qualsiasi fede, trasformando di fatto le sue idee in deliri irrazionali capaci di giustificare qualsiasi reato, dall’incendio delle chiese all’omicidio, sia a chissà cos’altro se la polizia non avesse messo fine alla sua violenza. Altro elemento che lo differenzia dai suoi amici/nemici Mayhem è che Vikernes non ha alcun interesse per il satanismo, neanche come pretesto per far parlare di sé o per vendere più dischi (che era in fin dei conti l’idea di Euronymous), ma è assolutamente ossessionato dalle religioni precristiane, con le quali sente un fortissimo legame.
Questo pensiero estremo lo porterà a coltivare idee inaccettabili, come il razzismo, l’antisemitismo (quello vero e non l’accusa pretestuosa che viene utilizzata oggi) e l’idea di base che le razze non debbano mescolarsi tra loro e che ne esistano alcune (quelle del Nord) nate per dominare e prevaricare le altre. L’idea, insomma, di un mondo come un insieme di razze in continua lotta tra loro, dove solo quella più forte può emergere: sostanzialmente, lo stesso modo di pensare di Hitler. Le sue idee sono quindi state accostate al nazismo ed in effetti, seppur lui l’abbia a volte negato (“Hitler era cristiano, io sono pagano”), in innumerevoli interviste e nelle cover di Dauði Baldrs e di The Ways Of Yore, questi pensieri malsani emergono chiaramente.

In un’intervista del 1993 Burzum cercha di giustificarsi dividendo tra nazisti buoni (quelli norvegesi pagani) e nazisti cattivi (quelli tedeschi cristiani). In altre interviste usa la parola negri in senso dispregiativo, in altre dice che i norvegesi sono i vecchi vichinghi e dovrebbero invadere, uccidere gli uomini di razze diverse e violentare le donne come hanno sempre fatto. Nel 1996, in un’intervista in carcere, a un giornalista che gli chiede quali siano le principali ispirazioni per la sua musica, risponde che la sua principale ispirazione sono le SS. In un’altra intervista risponde più seriamente parlando di Bathory, Darkthrone, Dead Can Dance, Candlemass, i primi Iron Maiden, i primi Slayer, Coil, Vangelis, i primi Kiss, i primi Rotting Christ e il suono della pioggia e delle tempeste.
Ovviamente le dissertazioni storiche di Vikernes lasciano il tempo che trovano e mostrano solo tanta confusione che nasce in una personalità palesemente disturbata. Quello che emerge chiaramente è che la sua passione per le religioni pagane lo porta a rinnegare tutto il mondo moderno, la società multirazziale, l’uguaglianza e la democrazia. Se volessimo dare una dignità intellettuale, che sicuramente non meriterebbe, al suo pensiero, potremmo dire che il paganesimo (forse inconsciamente) è una scusa per giustificare l’odio e il desiderio di violenza.

Le due vite di Varg Vikernes

La sua vita si divide essenzialmente in due parti, quella del musicista e quella del criminale. E’ chiaro che qui ci occuperemo principalmente dell’aspetto artistico, che ha una sua rilevanza, cercando di inserire all’interno dell’analisi della sua discografia delle parentesi di cronaca nera che non possono essere ignorate per comprendere appieno il personaggio, ma che non influiscono sul giudizio complessivo delle sue opere. Questo perché il valore dell’opera globale del progetto Burzum esula dal fascino malefico e quindi dalla notorietà – seppur negativa – del suo autore e avrebbe un certo interesse anche se Varg non fosse stato il criminale che invece è.
Sostanzialmente Burzum non è Vikernes, o almeno non lo è del tutto. Questo perché è ovvio che le opere d’arte, una volta pubblicate, hanno una vita propria e distinta da quella del loro autore. I critici musicali quando ascoltano Wagner lo giudicano senza considerare il suo antisemitismo, i critici letterari quando leggono D’Annunzio lo giudicano senza considerare il suo ridicolo militarismo e le sue simpatie verso l’estrema destra. Quello che è certo è che Varg Vikernes non è una persona con cui ci piacerebbe diventare amici o con cui andare a bere una birra. Ha espresso in più di un’occasione le sue idee razziste e xenofobe, ha scitto parole non proprio piacevoli riguardo la strage di Utoya del 22 luglio 2011 del criminale nazista Anders Behring Breivik che uccise sessantanove ragazzi, ha partecipato a decine di incendi dolosi di antiche chiese causando indirettamente la morte di un vigile del fuoco, è stato denunciato per furto di auto e minacce e infine ha scontato una lunga pena carceraria (dal 1994 al 2009) per l’omicidio di Euronymous, il chitarrista dei Mayhem e produttore discografico dello stesso Burzum, avvenuto il 10 agosto 1993.

Gli album del biennio 1992-1993 pubblicati prima dell’arresto

burzum_lpIl progetto di Vikernes inizia dopo il suo addio agli Old Funeral con la pubblicazione di Burzum (1992) con la Deathlike Silence Productions, l’etichetta di Euronymous dei Mayhem. Si tratta di un esordio molto violento, abbastanza vicino al sound dei Bathory, con chitarre gelide e una voce paragonabile alle urla di un uomo seviziato (chi conosce i Cromagnon sa che anche la psichedelia americana era arrivata a questo). Siamo ancora distanti dall’idea di black metal atmosferico che troveremo negli anni successivi. Gli accordi di chitarra si ripetono e conferiscono un senso ipnotico che il black metal dei Mayhem non aveva mai avuto. Le urla di Burzum che oltraggiano il mondo moderno sono quasi insopportabili e sempre incomprensibili, ma il fascino di brani come “Black Spell Of Destruction” è indubitabile.
C’è un elemento evidente di anticommercialità con cui Burzum sembra rinnegare ogni principio della contemporaneità. Allo stesso tempo, mette al bando ogni possibile fascinazione per il mercato discografico (anche quello ristretto del metal estremo), percepito anch’esso come asservito alle regole del denaro. Le sue urla lancinanti non sono quelle di un vero cantante, ma rappresentano una assoluta alterità – probabilmente psicotica – a ogni possibile idea di integrazione nella società contemporanea. La tecnica è povera, ma l’atmosfera basta e avanza, come ad esempio nell’inno pagano “Ea, Lord Of The Depths” e nel primo esperimento con i synth di “Channelling The Power Of Souls Into A New God”. Un brano come “War” (con l’assolo di Euronymous) tradisce i suoi ascolti death/thrash. Questo disco così grezzo e violento ha successo e il nome del progetto inizia a circolare causando probabilmente le prime invidie con Euronymous.

aske_01Altri dischi sarebbero già pronti ma, a quanto pare, il leader dei Mayhem cerca di rinviarne la pubblicazione e questo crea grandi attriti tra i due. A un certo punto Euronymous decide di pubblicare Aske (1993), con in copertina una delle chiese bruciate da Vikernes (quasi un’auto-denuncia), un Ep di soli tre brani che contiene “A Lost Forgotten Sad Spirit”, il brano finora più lungo (più di dieci minuti), che ripete ossessivamente pochi accordi creando alienazione e angoscia. E’ il brano che anticipa la sua successiva carriera.

I tre album del biennio 1992-1993 pubblicati dopo l’arresto (1993-1996)

Dopo l’arresto iniziano a essere pubblicati, centellinati, i dischi registrati da Vikernes che Euronymous aveva cercato di bloccare o perlomeno rinviare. Il primo è Det Som Engang Var (1993), album tolkieniano come dimostrano la copertina e i sette minuti di “Ring Til Aa Herske” dal riff tipicamente doom che probabilmente segnala gli ascolti dei Candlemass. Nel complesso si tratta di un disco che prosegue sulla stessa strada dell’esordio, ma con una qualità di registrazione superiore. C’è un senso di disperazione, nelle urla di Vikernes, che è quasi inaffrontabile, ma ha qualcosa di assolutamente reale. I nove minuti di “Snu Mikrokosmos Tegn” divisi in tre parti (prima urla lancinanti, poi un riff melodico e infine la chiusura epica), “Lost Wisdom” e “Nar Himmelen Klarner” – i brani più “classici” (si fa per dire) del lotto – e “Han Som Reiste” (il suo primo pezzo esclusivamente elettronico) sono i semi da cui nasceranno le sue opere migliori, cioè le due successive.

hvis_lyset_tar_ossHvis Lyset Tar Oss, registrato nel 1992, ma pubblicato a marzo 1994 dalla Misanthropy Records, è oggettivamente un album clamoroso, con quattro brani molto lunghi per un totale di quarantaquattro minuti. E’ il primo disco che utilizza le illustrazioni dell’artista norvegese Theodor Kittelsen (1857-1914), maestro nella rappresentazione della natura del Nord e le leggende nordiche, in un mix unico tra realtà, magia e simbolismo. Vikernes mostra di avere una capacità di scrittura di brani sopra la media della scena di cui fa parte integrante. La tastiera diventa dominante nei quattordici minuti di glaciali di “Det Som En Gang Var” (stranamente lo stesso titolo del disco precedente), con urla lancinanti su chitarre e tastiere non eccessivamente aggressive come agli esordi, ma stratificate in modo opprimente e maniacale, risultando impetuose e solenni. C’è quasi un’idea di suite black metal, anche se ovviamente siamo molto distanti dai cambi di tempo e di strutture delle suite progressive. Per certi versi, è il suo capolavoro oscuro. 
“Hvis Lyset Tar Oss” (otto minuti) erge un muro sonoro davvero impressionante. E’ un ritorno al caos, con ritmi di batteria rapidissimi e accordi di chitarra che si ripetono incessantemente senza tregua dall’inizio alla fine. Questa violenza però non ha nulla da spartire con quella del death metal o degli stessi Mayhem, spingendosi al massimo possibile verso un suono maestoso e selvaggio come quello di una foresta norvegese sferzata dal vento. In “Inn I Slottet Fra Droemmen” (sette minuti), la ripetitività diventa quasi insopportabile, un nuovo caos organizzato che non accetta alcun compromesso. Verso il quarto minuto tutto rallenta per poi giungere a quello che è un classico riff di chitarra supportato da synth. E’ chiaramente un momento di grande creatività per Vikernes e questo è dimostrato anche dai quattordici minuti ambient/elettronici di “Tomhet”. Certamente Vikernes non è né Edgar Froese, né Klaus Schulze e neppure Brian Eno, ma anche in un terreno a lui poco congeniale mantiene una sua credibilità, cosa che in futuro, nei dischi elettronici farà molta fatica a mantenere. Nonostante gli innumerevoli tentativi successivi “Tomhet” resta il suo miglior esperimento al di fuori del black metal.

filosofem_01Filosofem è l’ultimo album registrato primo dell’omicido di Euronymous, esattamente nel narzo 1993 e poi pubblicato a gennaio del 1996. E’ il suo manifesto e il suo capolavoro. La copertina, ancora una volta un’illustrazione dell’artista norvegese Theodor Kittelsen, è iconica per il black metal come la banana dei Velvet Underground lo è per il rock psichedelico. Le chitarre mantengono la ruvidezza delle distorsioni, ma il ritmo rallenta e si sovrappone un suono di tastiera con un timbro particolare, tra un piano elettrico e un vibrafono, che dona a un brano come “Dunkelheit” un suono alieno originalissimo, il punto più alto delle sua carriera. L’idea che dietro questo suono vi sia qualcosa di rituale si fa sempre più forte, è come se Vikernes assumesse per la prima volta un ruolo sciamanico. I registri vocali a volte cambiano, brevi tratti di parlato spezzano le consuete angoscianti urla di dolore.
“Erblicket Die Töchter Des Firmaments”, una delle sue composizioni più imponenti, ripete un riff davvero granitico in stile Darkthrone per ben sette minuti e le parole urlate, stavolta quasi comprensibili, invocano un ritorno alla spiritualità pagana perduta quasi come in un rituale di gruppo.
Vikernes dimostra di essere molto avanti rispetto a tutta la scena del True Norwegian Black Metal con brani geniali come “Gebrechlichkeit I” e “Gebrechlichkeit II”, con un’intro di musica concreta, poi tre note di tastiera a ripetersi, un fondo di distorsioni estreme e urla disarmanti, degne di un compositore d’avanguardia. “Jesus’ Tod”, con un ritmo rapidissimo, testi anticristiani e un legame molto vicino ai primi album, verrà riproposto più di una volta in versioni differenti nei dischi successivi. “Rundgang Um Die Transzendentale Saule Der Singularitaet” supera addirittura i venticinque minuti ed è un versione cosmico/ambient ultra-dilatata di “Tomhet” del precedente Lp, senza droni che si sovrappongono e senza batteria: un’opera che i gruppi black metal coevi non avrebbero mai potuto immaginare.


Un bivio tra il bene e il male

In questo biennio (1992-1993) Vikernes continua a essere scisso in due. Umanamente è sull’orlo dell’abisso, artisticamente ha raggiunto il suo vertice con Hvis Lyset Tar Oss e Filosofem. Tra i tanti futuri possibili sceglierà il peggiore. Umanamente precipiterà nell’abisso più profondo dal quale non emergerà mai più, artisticamente sopravviverà – seppur a fatica – ma non riuscirà in nessun’altra occasione ad avvicinarsi alla creatività di questo biennio.

Prima parentesi di cronaca nera. Vikernes terrorista (1992-1993)

Come dicevamo, le idee anticristiane di Vikernes sono una cosa seria, un’ideologia che può giustificare qualsiasi reato, non una facciata macabra per vendere più dischi. Per questo il suo ingresso nell’organizzazione anti-cristiana Black Metal Inner Circle si rivela l’occasione giusta per dare sfogo alla sua violenza. Se l’associazione in sé è poco più di un gruppo di ragazzi sbandati che si ritrovano insieme nel negozio Helvete di Euronymous a bere birra e ascoltare musica estrema, lui la immagina quasi come un nucleo rivoluzionario terrorista anticristiano. Ciò che Euronymous vede solo come un modo per farsi pubblicità e darsi un’aria malvagia nel mondo del metal, lui lo interpreta come uno strumento per una missione rivoluzionaria molto più ampia. E’ lui l’ideologo e in parte l’artefice degli incendi delle chiese che sconvolgono la Norvegia tra il 1992 e il 1993. Nel 1993 confessa a un giornalista l’esistenza del Black Inner Circle e delle sue responsabilità rispetto ai recenti incendi oltre all’omicidio – da parte di Bård Faust, ex-batterista degli Emperor – di Magne Andreassen, ucciso con una trentina di coltellate in quanto omosessuale. Vikernes viene subito arrestato e liberato dopo sei settimane per assenza di prove.

Seconda parentesi di cronaca nera. Vikernes assassino (10 agosto 1993)

Nel 1993 le incomprensioni con Euronymous diventano sempre più forti. Problemi economici (Vikernes pensa che il compare usi i soldi delle vendite dei suoi dischi per finanziare i Mayhem, inoltre Vikernes ha un debito che non era ancora stato restituito), la visione differente del black metal tra i due, uniti ai disturbi paranoico-psicotici di Vikernes, conducono alla tragedia. Il 10 agosto 1993 Vikernes irrompe a casa di Euronymous armato e lo uccide infierendo con ben ventitré coltellate alle spalle, mentre la vittima cercava di fuggire. La tesi della legittima difesa risulta dunque ridicola e pretestuosa. Tutto è spiegato nei dettagli nel libro “Lords of Chaos: The Bloody Rise of the Satanic Metal Underground” e nel successivo film del 2018 ai quali si rimanda. Nonostante il tentativo di occultare tutte le prove, non ci vuole molto alla polizia per arrivare a Vikernes, che viene arrestato pochi giorni dopo e condannato a 21 anni di carcere. 
Come tutte le personalità psicotiche conclamate, Vikernes non mosterà mai alcun senso di pentimento per l’omicidio né alcuna empatia per Euronymous, anzi tutt’oggi nel suo sito ufficiale non perde occasione per denigrarlo.

Dopo il suo secondo arresto, gli incendi delle chiese sono continuati sino al 1995. In quattro anni, dal 1992 al 1995, saranno bruciate ben cinquantadue chiese. In uno di questi roghi perderà la vita un vigile del fuoco.

Gli album dal carcere (1994-2009)

baldrsIl criminale Vikernes viene giustamente condannato a 21 anni di carcere, ma il musicista riesce in qualche modo a proseguire il suo progetto. In carcere, ha a disposizione solo tastiere e nel 1997 registra Dauði Baldrs, un concept-album sulla morte del dio della mitologia norrena Baldr, confermando che gli anni in carcere non l’hanno cambiato e che non prova alcun senso di colpa per il suo crimine. La copertina dell’artista norvegese Tania Stene mostra chiaramente i suoi deliri nazistoidi e razzisti. Un capo vichingo (che probabilmente rappresenta metaforicamente il dio Baldr), con un vestito ricoperto di svastiche, sembra ricevere in ginocchio l’eucaristia da un prete cattolico col suo valletto. Questo “dono” da parte dei cristiani causerà la fine della religione pagana in Norvegia. Il prete e il valletto hanno chiaramente connotati negativi, mentre i vichinghi, forti e biondi, rappresentano la razza ariana raggirata e fatta fuori dal cristianesimo.
L’album, se paragonato alla musica elettronica del periodo, è certamente mediocre e poco interessante, oltretutto suonato con una tecnica pianistica davvero elementare. Qua e là però (ad esempio, nella title track che riprende la melodia di “Jesus’ Tod” da Filosofem) emergono spunti che lasciano presagire quanto talento sarebbe potuto sbocciare se Vikernes non l’avesse dissipato con le sue azioni criminali.

Il progetto Burzum – ormai moribondo – torna nel 1999 con Hlidskjalf, secondo e (per fortuna) ultimo disco con sole tastiere registrato in carcere. La confusione regna sovrana e – a parte qualche momento dark-ambient (“Tuistos Herz”) – il mix di elettronica, melodie medievali suonate con la tecnica di un principiante, molto spesso rasenta l’imbarazzo. Sembra chiaro che qualsiasi studente di musica sarebbe in grado di registrare qualcosa di più professionale.

Terza parentesi di cronaca nera. Vikernes terrorista fuggitivo (26 luglio 2003)

Il 26 luglio 2003 Vikernes dovrebbe presentarsi in carcere dopo un breve permesso, ma decide di tentare la fuga. Prima ruba la macchina di una famiglia norvegese minacciando l’autista con un coltello, poi si procura fucili, travestimenti, una maschera antigas, coltelli, carte di credito, e tenta di scappare in Svezia. La polizia norvegese, non troppo sorpresa da questo comportamento, lo arresta in meno di ventiquattro ore. Vikernes dichiara, a metà tra bugia e delirio, di aver tentato la fuga perché in carcere qualcuno voleva farlo fuori (la stessa scusa che ha portato all’omicidio di Euronymous). Ovviamente non convince nessuno e perde la possibilità di ottenere nuovi permessi.

La scarcerazione e il ritorno al black metal (2009-2011) 

belusNel 2009 Vikernes viene scarcerato in regime di libertà vigilata e torna alle sue origini musicali con due buoni album che suonano quasi come quelli degli esordi, ma con un canto appena più comprensibile e una registrazione meno grezza. Al centro, sempre il tema del paganesimo norreno.
Sembra che 16 anni di carcere non abbiano cambiato quasi nulla della sua psicologia, finendo addirittura col rafforzare le sue idee aberranti.
Belus (2010) è un altro concept, stavolta sulla figura del dio della luce Belus. Diviso in otto parti connesse tra loro, è un lavoro ambizioso e ipnotico, che però ha perso qualsiasi spunto innovativo che si poteva cogliere ascoltando lavori come Hvis Lyset Tar Oss e Filosofem.
“Belus Doed” è la nuova versione di “Jesus’ Tod”, stavolta con chitarre più definite, canto un po’ meno urlato e una produzione migliore. “Glemselens Elv” non dà tregua coi suoi undici minuti pieni di pathos in cui si sente per la prima volta la voce non urlata di Vikernes. Il meglio si raggiunge alla fine, quando Vikernes supera le consuete convenzioni black metal e chiude con due lunghi brani dal suono blackgaze estremamente ripetitivi e ipnotici. “Keliohesten” e soprattutto “Belus’ Tilbakekomst (Konklusjon)”, con i suoi dieci minuti strumentali, sono un’esperienza d’ascolto quasi spirituale.

Vikernes ha quindi ancora qualcosa da dire (eccezion fatta per le sue deliranti interviste) e nel 2011 torna con Fallen, altro capitolo black metal della sua discografia. Se le chitarre e la batteria sono simili ai suoi classici dischi metal, il canto è a tratti decisamente più pulito (“Jeg Faller”). Si potrebbe affermare che Fallen segni quasi un incontro tra i primi Lp e Belus: un buon album, dunque, che suona però come già sentito. La reiterazione dei riff scarnificati di Vikernes è ormai il suo marchio di fabbrica che si riconoscerebbe tra mille e brani, come “Vanvidd” o “Budstikken” dimostrano chiaramente. Chiude “Til Hel Og Tilbake Igjen”, una bizzarra composizione di pura avanguardia concreta.

Sempre nel 2011 esce From The Depths Of Darkness, una raccolta di vecchi brani degli anni 90 registrati con una produzione più professionale.

Una metamorfosi epica, una teogonia nordica (2012)

Vikernes capisce che ormai sarebbe meglio cambiare e con Umskiptar (2012), parola traducibile con metamorfosi, svolta decisamente con riff monolitici dal sapore epico (“Alfadanz”, “Hit Helga Tré”) che lo allontanano parecchio dal classico black metal. Il canto è ormai quasi sempre parlato e il disco è un altro concept, stavolta dedicato al poema nordico “Vǫluspá”, che racconta la creazione del mondo secondo la mitologia dei paesi del Nord. L’opera è abbastanza coraggiosa, con strane soluzioni post-rock (“Heidr”) e ritmi lenti ma solenni (“Aera”). Da “Galgvidr” le cose cambiano, quasi come se ci trovassimo di fronte a un altro disco, con una solennità religiosa che la musica di Vikernes non aveva mai mostrato. Tutto rallenta sino quasi alla stasi del folk sognante di “Gullaldr” e all’ormai consueto finale avant di “Nidhoggr”.

L’abbandono del metal, tra elettronica e pagan-folk (2013-2020)

Vikernes aveva già dichiarato in passato di essere sempre meno interessato al black metal e
Umskiptar dava già l’idea di una svolta. Dal 2013 al 2020 il cambiamento è proprio radicale e Vikernes pubblica solo album elettronici, seguendo la scia dei dischi registrati in carcere, ma con una perizia tecnica molto superiore e con influenze pagan-folk che non aveva mai rivelato in precedenza.

Sôl Austan, Mâni Vestan
(2013) è la colonna sonora di “ForeBears” (la sua prima e unica soundtrack), film amatoriale diretto da sua moglie Marie Cachet. Nelle intenzioni dell’autore c’è la volontà di riprendere i suoni cosmici delle band del kraut-rock e in varie interviste vengono citati i Tangerine Dream. Le intenzioni saranno pure ottime, ma il disco non pare in grado di reggere da solo senza le immagini del film e le idee messe sul piatto non sembrano giustificare i quasi sessanta minuti di musica.

The Ways Of Yore (2014) è un lavoro più elaborato e meditativo con evidenti commistioni folk che ricordano in certi momenti qualcosa degli Heilung (“Heill Odinn”). La copertina, con l’immagine di Merlino e Viviana disegnata da Gustave Doré che richiama scenari folk pagani, è purtroppo incorniciata da una serie di svastiche legate tra loro. Seppur il disco rappresenti un passo avanti rispetto al precedente, ancora una volta le idee sono troppo poche per giustificare una tale durata (sessantotto minuti).

burzumthuleanmysteries_01Thulêan Mysteries (2020) è decisamente il suo miglior disco non metal. Con una bellissima copertina, tratta ancora una volta da un’opera del pittore norvegese Theodor Kittelsen, viene composto in un periodo molto lungo, senza venir mai immaginato come un progetto unitario. Questa caratteristica lo rende molto più vario e interessante: dal suono di arpa di “The Ettin Stone Heart” a momenti molto evocativi come “The Land Of Thulê” o la title track, molti sono gli episodi che fanno emergere nuovi, interessanti spunti sonori. Anche quando si dilunga molto, in tracce quali  “A Forgotten Realm”, “The Road To Hel”, “The Dream Land” e nella interminabile “The Password”, il disco – quasi 90 minuti complessivi di musica – si ascolta con interesse.

Un nuovo progetto Burzum? (2024-2025)

Nel 2024 vengono pubblicati una serie di singoli a nome Burzum NEW, racchiusi in The Land Of Thulê. Vikernes imbraccia nuovamente la chitarra dopo un bel po’ di anni, riavvicinandosi alle sue caratteristiche distorsioni, anche se la violenza metal è molto lontana. Del black metal rimane solo un vago ricordo, forse un fantasma che aleggia nell’aria, quasi una versione hauntologica di una musica ambient con distorsioni di chitarra black metal.
La scelta è intelligente, forse l’unica possibile. Vista la sua lunga carriera divisa costantemente in due parti, cercare un punto di incontro appare inevitabile e condivisibile. Nel 2025 escono altri cinque singoli sulla stessa scia dei precedenti. Brani come “Beyond The Gate” o “The Call Of The Kraken” sembrano dimostrare che il progetto Burzum non sia ancora solo un pezzo di storia ma che abbia ancora qualcosa di vivo da raccontare.




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